domenica 12 gennaio 2025

Un pensiero di Massimiliano Bardotti sulla bellezza

 

Etty, la gatta più grande, oggi ha dormito sul divano con Zelda, la piccolina. Le ha dormito vicino e con la zampa anteriore destra teneva le zampe posteriori di Zelda. Sembrava quasi le volesse far sentire che c’era, era lì, la teneva ma non troppo. “Sono qui ma sei libera”.
Poi Zelda si è messa a tremare, si è agitata, come se stesse facendo un incubo. Il respiro si è fatto improvvisamente veloce, scattoso. Allora Etty si è svegliata. Ha guardato Zelda. Si è alzata, si è stirata, e ha cominciato a leccarla, lentamente, con una delicatezza commovente. Zelda si è subito calmata e si è rimessa a dormire. Etty no, invece. Si è fermata a guardare Zelda finché non è stata sicura che stesse dormendo, che stesse bene; poi è salita sul bracciolo del divano, proprio sopra rispetto a dove Zelda stava dormendo. Proprio a dire: “Ora veglio io su di te, non temere”.
Io ringrazio il Cielo di poter vivere con accanto queste creature. Saprei molto meno della tenerezza, del prendersi cura, e anche della gioia, senza di loro. Saprei meno anche della sofferenza, perché quando loro stanno male è difficile, per me, stare bene. E quando Dee Dee è morta ha lasciato una ferita nel mio cuore, e va bene così perché nella terra è necessario fare un varco, per poterci piantare un seme. Sono così grato per ogni ora trascorsa con lei, che non maledirò mai la sua morte, anch’essa foriera di promesse.
Qualche notte fa ho avuto dei disturbi intestinali. Ho passato quasi l’intera notte senza dormire. Etty e Zelda sono state con me. La più piccola voleva giocare, Etty strusciava la sua testa sulle mie braccia e faceva le fusa.
Io non penso, come a volte sento dire, che sono meglio di noi o cose del genere. Credo sia stata una grande intuizione del Creatore quella di darci la possibilità di condividere la vita con loro, con gli animali tutti, con le piante, gli alberi, i fiori, con le stelle, con i giardini e i boschi, con le foreste. Con i fiumi, con il mare, con l’oceano. Con i campi di girasole, con gli uccelli del cielo. 
La nostra vita è costellata di doni preziosissimi. Alcuni restano con noi per molto tempo, altri svaniscono velocemente. Altri ancora sono qui da sempre e ci saranno quando non ci saremo più. Questi doni sono stati pensati per noi, affinché potessimo averne cura. Questo sarebbe potuto bastare alla nostra educazione, perché nell’aver cura è nascosto ogni segreto.
La bellezza, col suo linguaggio mistico, ogni giorno ancora vorrebbe piantare nei nostri cuori il suo seme. Mi sembra sia il dono più grande di tutti che ancora non si sia arresa, malgrado le nostre assurde e violente resistenze.

Massimiliano Bardotti



Un pensiero di Louise Gluck



L'occhio si abitua alle sparizioni. Non sarai risparmiata, né ciò che ami sarà risparmiato. 
Un vento è venuto e passato, smontando la mente; 
ha lasciato nella sua scia una strana lucidità. 
Quanto sei privilegiata, ad aggrapparti ancora con passione a ciò che ami; 
la rinuncia alla speranza non ti ha distrutto. 
Maestoso, doloroso: 
Questa è la luce dell’autunno; si è volta su di noi. 
Di certo è un privilegio avvicinarsi alla fine  credendo ancora in qualcosa.

Louise Gluck

Un pensiero di Cristina Campo su poesia e liturgia

 


Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo.
Liturgia – come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile.
Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi.
In realtà la poesia si è sempre posta come segno ideale la liturgia ed appare inevitabile che, declinando la poesia da visione a cronaca anche la liturgia abbia a soffrirne offesa. Sempre il sacro sofferse della degradazione del profano.

Cristina Campo

Un pensiero di Andrej Tarkowsky - da “Nosthalgia”



La strada del nostro cuore è coperta d'ombra.

Bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili, bisogna che dai cervelli occupati dalle lunghe tubature delle fogne e dai muri delle scuole, dagli asfalti e dalle pratiche assistenziali, entri il ronzio degli insetti.

Bisogna riempire gli orecchi e gli occhi di tutti noi, di cose che siano all'inizio di un grande Sogno.

Qualcuno deve gridare che costruiremo le piramidi, non importa se poi non le costruiremo. 

Bisogna alimentare il Desiderio.

Dobbiamo tirare l'Anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all'infinito.

Se vogliamo che il mondo vada avanti dobbiamo tenerci per mano.

Tutti gli occhi dell'umanità stanno guardando il burrone dove stiamo tutti precipitando.

La libertà non ci serve se noi non abbiamo il coraggio di guardarci in faccia, di mangiare con noi, di bere con noi, di dormire con noi. 

La società deve tornare unita e non così frammentata.

Basterebbe osservare la Natura per capire che la Vita è semplice e che bisogna tornare al punto di prima, in quel punto dove abbiamo imboccato la strada sbagliata.







Un pensiero di Paul Klee






Dalle radici la linfa risale fino all'artista, lo invade e gli inonda gli occhi.

Così l'artista diventa come il tronco dell'albero.

Investito e mosso dal potere di questo flusso di linfa, l'artista guarda in avanti e lascia correre la propria immaginazione.

Come vediamo i rami dell'albero protendersi in ogni direzione sia nel tempo che nello spazio, così succede nel processo creativo.

Nessuno chiederebbe mai a un albero di forgiare e di modellare i rami lungo le linee delle radici. Così come fa il tronco, l'artista deve solo tenere insieme tutto ciò che viene dalle parti più basse, che proviene dalle radici per poi veicolarlo in alto, portarlo più in su.

Non deve né essere utile, né dettare delle regole: deve solo trasmettere.

 Paul Klee

Una poesia di Albert Camus


Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.

Camus

La pace...secondo José Tolentino Mendonca

 

È dentro di noi che la pace comincia. Questa pace che nasce dalla riconciliazione con le nostre ferite interiori, ascoltando la nostra vita interiore invece di ignorarla, dando spazio e dignità alle dimensioni più vulnerabili del nostro essere, riconoscendo con umiltà la frustrazione, la violenza e l’aggressività che risiedono anche in noi. Questa pace che nasce dalla capacità di trasformare le nostre quotidiane armi di guerra in vomeri, come ci insegna il profeta. Questa pace che fa vivere fianco a fianco il lupo e l’agnello, e fa pascolare nello stesso campo il leoncello e il vitellino. Questa pace che non troviamo prefabbricata in nessun luogo, ma che s’intesse come un lento lavoro d’artigiano, intrecciando con sapienza fili diversissimi, rispettando l’unicità di ciascuno e, allo stesso tempo, scoprendo il significato profondo della convivialità. 


Un pensiero di Umberto Galimberti sulla forza d'animo

 

«Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente».

Umberto Galimberti

giovedì 9 gennaio 2025

"Primo gennaio", di Eugenio Montale


 “Primo Gennaio” 

So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.

Eugenio Montale

mercoledì 8 gennaio 2025

Una poesia di Mariangela Ruggiu: "Sciogli i nodi sulla lingua"

 

Sciogli i nodi sulla lingua

leva la polvere al mio silenzio

segna le mie mani con la cura

e le mie notti aprile al buio

quando traccio i bordi del mio corpo 

quando cerco le tue impronte 

sulla pelle che sciogli come il ghiaccio 

Accendi fuochi, anche piccole luci

in questa strada in cui mi perdo

cercando i segni, le parole

Abbagliami che la tua luce invada

le piccole buone cose e la mano dell'ira 

che la cenere insegni la caducità 

che il male riveli com'è il perdersi

senza di te, che la vita è prima

di ogni morte, e dopo è oltre


Mariangela Ruggiu

C’è un luogo in ciascuno di noi, di Andrew Faber

 

C’è un luogo in ciascuno di noi

che aspetta di essere visto.
È buio, come un abisso nascosto
silenzioso e immenso.

Lì dormono le paure
le ambizioni che abbiamo seppellito
le parole che non abbiamo detto
per paura di romperci.
Guardarlo fa paura.
Abitarlo, ancora di più.
La realtà ci spinge fuori
dove il rumore è più forte
dove i gesti si affrettano
dove il cielo sembra sempre più alto
e la terra sempre più lontana.
E noi, lì, a rincorrere ombre
a costruire muri
mentre la voce dentro sussurra:
“Vieni, fermati. Guarda.”
La vita non è pubblicità di emozioni
ma improvvisazione di anima.
Ma guardare dentro è un lavoro difficile.
È come spogliarsi con dita fragili.
È come ascoltare un vecchio canto
fatto di cose dimenticate
di dolore che non ha avuto parole
di luci mai accese.
Eppure, lì dentro
nell’oscurità che temiamo
c’è la radice di ogni nostro sogno
c’è il seme che aspetta solo
di essere portato alla luce.
Perché non si cresce con le illusioni
ma con il coraggio di guardarsi interi:
le crepe, i vuoti
i piccoli miracoli nascosti.
Anche il mondo – il nostro mondo –
ha bisogno di questo sguardo.
Non più occhi distratti
che si posano solo dove il vento luccica
ma mani che scavano
nelle pieghe profonde della terra
nelle storie che nessuno ascolta.
La coscienza non è un grido
è un sussurro che cresce.
È il tocco leggero
di chi sa che ogni gesto
anche il più piccolo
cambia la forma del tempo.
E allora impariamo ad abitare
questa profondità che chiama
questa bellezza che non grida
questo silenzio che insegna.
Perché solo chi sa guardarsi dentro
può davvero svegliarsi.
E quando ci svegliamo
noi, come alberi
portiamo alla luce
un’intera foresta.
E in quella foresta
nel bosco infinito dell’essere
il ramo si spacca e fiorisce
il canto del buio diventa luce
e la vita intera
finalmente ringrazia.

Andrew Faber

martedì 7 gennaio 2025

Una poesia di Noemy Carcea

 

Ci alzeremo in volo invisibili

allo sguardo terreno chiarissimi

al mistero spogli d'ossa e carne

un destino d'aria ci attende

il resto è solo memoria

apparteniamo al vento alla sua

prima luce al suo ultimo bacio 

decide lui il momento ne basta

un refolo soltanto perché sia

cenere il nostro tempo.


Noemy Carcea

Una poesia di Gunvor Hofmo: "Il tuo cuore"



Il tuo cuore non

grida più come 

il corvo nella neve

non infilza più le stelle

con la lancia della sua angoscia

ma ascolta. Sotto ogni cosa

una crepuscolare melodia

di maturazione,

di oscuro borbottìo

sul bene e il male

in equilibrio nonostante tutto


GUNVOR HOFMO

lunedì 6 gennaio 2025

Un pensiero e due poesie di Clarice Lispector


All’estremo di me: lì soltanto sono. Io, l’implorante, io, l’orante, quella che chiede, prega, lamenta. Eppure: quella che canta – che parla.

Parola al vento? Che importa: i venti me le riportano intatte e io le possiedo.
Io, al lato del vento. La collina dei venti che ululano mi chiama. Vado, perché sono una strega.
E mi trasmuto.

Oh, cagnolino, dov’è la tua anima? È presso il tuo corpo? Io sono il mio corpo. E muoio, lentamente. Cosa dico? Dico amore. Nella cerchia dell’amore, lì siamo.


  




Non liberare i cavalli
Come sempre, quando scrivo ho il timore
di andare troppo lontano. Perché? Mi fermo
come se arpionassi le redini di un cavallo
pronto a scattare al galoppo per portarmi
chissà dove. Mi contengo. Perché? A cosa serve
questa rinuncia? Me ne sono accorta quando
ho scritto “per scrivere non devi avere paura”.
Paura di che cosa? Di circoscrivere i giardini
del mio talento? Forse è la paura
dell’apprendista stregone che non riesce a limare
i propri incantesimi. Come una donna che resta
intatta e dona il suo giorno d’amore, voglio
morire integra perché soltanto Dio possa avermi.






Non è la morte a farci male
ciò che ci ferisce è vivere:
la morte è qualcosa d’altro
qualcosa che preme dietro la porta.

La mania dell’uccello di darsi al Sud
prima che arrivi il ghiaccio:
sfida la latitudine più adatta, ma noi
siamo gli uccelli che rimandano il volo.

Siamo quelli che tremano, alla soglia
delle porte, implorano una briciola
finché la neve, la piena di pietà,
non addestri le nostre piume a tornare a casa.


Una poesia di Vittorio Bodini: "Conosco appena le mani"

 

Conosco appena le mani,
le scarpe che metto ai piedi.
Conosco il giorno e la notte
e i terrori del vento.
Ma gli anni? Dove son gli anni,
e tutti i libri che ho letto?
I volti amati si sfrondano
delle loro vicende,
non restano che i nomi.
Tutto nella memoria
cade a pezzi, sprofonda
senza rumore
nelle botole dei morti.
Ah, dove sono le acute presenze
del passato, le sue calde forme,
la cera su cui incidevano
i miei sentimenti?
Dove si nasconde il senso
delle cose che ho vissuto,
e i brividi lucenti
e i cieli dell'avventura?

Vittorio Bodini

(6 gennaio 1914 – 19 dicembre 1970)

domenica 5 gennaio 2025

Miriam Bruni primo posto Premio poesia "Otto milioni" 2018 by DILA #BCM1...

Una poesia di José Cereijo

 

Con la delicatezza

e la precisione con cui si dipinge

l'ombra di quell'albero sul terreno,

fino al minimo dettaglio,

senza ostinazione, in cui

nulla manca, perché nulla è superfluo,

così sarebbe

scrivere, vivere.

José Cereijo

(Traduzione Marco Masciovecchio)

"Per te" di Adam Zagajewski


Per te - che forse dormi ora, in una nuvola 

di sogni di lana - scrivo più di questa poesia.

Per te, vittoriosa, sorridente, bellissima,

ma anche per te, triste, sconfitta

(anche se non riuscirò mai a capire,

chi sconfiggerti potrebbe!),

per te diffidente, ansiosa,

per te scrivo poesia dopo poesia,

come se un giorno volessi - come una tartaruga

- arrivare a te, con parole imperfette

e immagini, li, dove sei da sempre,

dove t'ha portato il lampo della vita.


[traduzione di Marco Masciovecchio]


Una lettera di Clarice Lispector (1947)


Cara,

Non pensare che una persona abbia tanta forza da condurre una specie di vita e continuare a essere la stessa. Perfino tagliare i propri difetti può essere pericoloso, non si sa mai quale sia il difetto che sorregge il nostro edificio intero. Non so come spiegarti la mia anima. Ma quello che vorrei dire è che le persone sono molte preziose, e che solo fino a un certo punto possono rinunciare a se stesse e consegnarsi agli altri e alle circostanze. Dopo che una persona ha perduto il rispetto verso se stessa e verso le proprie necessità — rimane una specie di straccio. Avrei tanto voluto essere vicina a te e chiacchierare e raccontare esperienze mie e di altri. Avresti visto che ci sono certi momenti in cui il primo dovere da compiere è in relazione a se stessi. Da parte mia, non avrei voluto raccontarti come sono oggi, perché mi pareva inutile. Volevo semplicemente raccontarti il mio nuovo carattere, un mese prima di tornare in Brasile, in modo che lo sapessi. Ma spero, sulla nave o sull’aereo che ci porterà di ritorno, di trasformarmi istantaneamente nell’antica che ero, e forse non sarebbe necessario raccontarlo. Cara, quasi quattro anni mi hanno trasformata molto. Dal momento in cui mi sono rassegnata, ho perso tutta la vivacità e ogni interesse per le cose. Hai mai visto come un toro castrato si trasforma in un bue? Lo stesso si può dire di me... e mi pesa il duro confronto... Per adattarmi a ciò che era inadattabile, per vincere le mie ripulse, ho dovuto tagliare le mie catene — ho tagliato in me la forma che avrebbe fatto male agli altri e a me. E con questo ho tagliato anche la mia forza. Spero che tu non mi veda mai così rassegnata, perché è quasi ripugnante. Spero, sulla nave che mi porterà di ritorno, al solo pensiero di vederti e di riprendere un po’ la mia vita — che non era meravigliosa ma era una vita — di trasformarmi interamente.
Un’amica, un giorno, mi ha fatto coraggio, così diceva, e mi ha domandato: “Eri molto diversa, no?”Lei mi trovava ardente e vibrante, e quando mi ha incontrata si è detta: o questa calma eccessiva è un atteggiamento o lei è cambiata tanto da apparire quasi irriconoscibile. Un’altra persona ha detto che io mi muovo con la lassitudine di una donna di cinquant’anni. Tutto questo tu non lo vedrai né avvertirai, così voglia Dio.
Non ci sarebbe bisogno di dirlo, allora. Ma non ho potuto far a meno di volerti mostrare ciò che può accadere a una persona che è scesa a patti con tutti, e che si è dimenticata che il nucleo vitale di una persona va rispettato. Ascolta: rispetta anche ciò che c’è di cattivo in te — per amor di Dio, non volere fare di te una persona perfetta — non copiare nessuna persona ideale, copia te stessa — è questo l’unico modo di vivere.
Giuro su Dio che, se è vero che esiste un cielo, una persona che si sia sacrificata per vigliaccheria — sarà punita e andrà all’inferno. Sempre che una vita tiepida non venga punita proprio per questa tiepidezza. Prendi per te quello che ti appartiene, e quello che ti appartiene è tutto ciò che la tua vita esige. Sembra una vita amorale. Ma ciò che è veramente immorale è avere rinunciato a se stessi. Spero in Dio che tu mi creda. Mi piacerebbe perfino che, a mia insaputa, tu mi vedessi e assistessi alla mia vita. Io sarei una lezione per me stessa. Vedere cosa può succedere quando si patteggia con la comodità d’anima.

Tua Clarice.

sabato 4 gennaio 2025

Un pensiero di Carlo Levi


Come la realtà è molteplice; come, in ogni cosa, in ciascuno di noi, coesistono tempi diversi e lontanissimi! e quanto più viva, reale e complessa è una persona, quando in lei questa contemporaneità di condizioni e di situazioni diverse, come strati geologici, questa eternità della storia e della preistoria, è presente: e quando gli elementi arcaici non sono relegati o totalmente nascosti in un oscuro subcosciente dove possono parere dimenticati e del tutto inoperanti, ma affiorano alla superficie, e diventano contenuti di poesia, energia vitale, capacità di comprensione universale, fuori dalla meccanica limitazione degli schemi sociali e psicologici della vita quotidiana!

 Carlo Levi

Da "TUTTO IL MIELE È FINITO"


Una poesia di Marco A. Ribani

 


Sei venuta in questo mondo per me 
ora stai chiusa dentro la pietra del mio cuore.
Abbiamo camminato per secoli insieme.
Siamo stati belli. Ma tu ora sei ancora
più bella con dentro gli occhi l’ombra
della morte. Eppure viene un vento 
di vitale verde tenerezza e allora
forse è vero che dentro il tempo muoiono
fiori chiocciole farfalle l’aroma delle piante
ma non muoiono mai le primavere e la gioia
e i tristi presagi dell’autunno 
e le cortecce e le loro amate rughe.

5 ottobre 2018

Marco Armando Ribani