martedì 31 dicembre 2019

Alessandra Corbetta

Sono deserta
in questo posto che non mi attraversa
Nemmeno le rondini
che tornano sono le stesse
del marzo di prima.
Un tuffo in piscina e dicevi
quanto ero vecchia
a non voler crescere,
a voler restare bambina.

giovedì 26 dicembre 2019

Cvetaeva - frammenti di prosa

12 agosto 1936
Tu non sei innocuo, Boris, tu istighi la vendetta e la gelosia: questo è il destino di chi conosce il segreto della vita. Quando sorridi, tu stritoli, lo so, anche se non ti vedo – e non voglio vederti per non essere stritolata. Come può non avere terrore la donna che abita la tua stanza da letto quando tu possiedi continenti e civiltà nei tuoi occhi? Se fossi tua moglie, di notte ti cucirei le palpebre – oppure le bucherei con un ago, per vedere sorgere, insieme al sangue, giungle e ghepardi, galeoni e sassoni, nevi, carrozze, monasteri, prigioni… Vivo in cattività – incattivita – tu non puoi darmi nulla. Io non ti darò niente. Le parole infine sono la nenia con cui imbamboliamo l’assenza del corpo. Ieri ti ho sognato, Boris: eri Rilke. Io avrei potuto essere qualsiasi cosa, anche un verso delle Elegie, oppure il portiere dell’albergo che lo ha ospitato, a Firenze, oppure la Neva. Eri Rilke, ma poiché eri Pasternak ti avrei potuto avere – saresti stato mio, ceduto. Eppure, eri così innocuo che preferii abbandonarti.
Marina


“Incontrandoti, io incontrerei me – con gli artigli sfoderati contro me stessa… Io non capisco la carne come tale, non le riconosco alcun diritto… Tu sai di cosa io ho voglia – quando voglio. Di oscuramento, rischiaramento, trasfigurazione. Dell’estremo promontorio dell’anima altrui – e della mia. Delle parole che non sentirai, non dirai mai. Dell’inaudito. Del mostruoso. Del prodigio”.

martedì 24 dicembre 2019

Gibran

La poesia è il salvagente
cui mi aggrappo
quando tutto sembra svanire.
Quando il mio cuore gronda
per lo strazio delle parole che feriscono, dei silenzi che trascinano verso il precipizio.
Quando sono diventato così impenetrabile
che neanche l’aria
riesce a passare.
Khalil Gibran

Alda Merini - bisogna essere santi

Bisogna essere santi
per essere anche poeti:
dal grembo caldo d’ogni nostro gesto,
d’ogni nostra parola che sia sobria,
procederà la lirica perfetta
in modo necessario ed istintivo.
Noi ci perdiamo, a volte, ed affanniamo
per i vicoli ciechi del cervello,
sbriciolati in miriadi di esseri
senza vita durevole e completa;
noi ci perdiamo, a volte, nel peccato
della disconoscenza di noi stessi.
Ma con un gesto calmo della mano,
con un guardar “volutamente” buono,
noi ci possiamo sempre ricondurre
sulla strada maestra che lasciammo,
e nulla è più fecondo e più stupendo
di questo tempo di conciliazione.
Alda Merini

lunedì 23 dicembre 2019

Natività

La "Natività", è un dipinto realizzato nel 1597, dal pittore italiano
FEDERICO BAROCCI, detto il Fiori (Urbino, 1535 –Urbino, 1612).
È conservato al Museo del Prado di Madrid e fu donato nel 1605 alla regina di Spagna Margherita d’Austria da Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino.

giovedì 19 dicembre 2019

Luce Irigaray "Partager le monde"

In questo dono che ciascuno fa all'altro per il solo fatto di riconoscerlo e accoglierlo come altro, siamo insieme due e uno. Ciascuno deve essere sé e ritornare a sé nella sua alterità affinché l'unità esista.
In tale sorta di scambio niente è mai posseduto, comunque non in maniera definitiva, pena l'interruzione della partecipazione bilaterale. Ciò che è provato e ricevuto deve rimanere fluido, al servizio del divenire di ciascuno e della relazione fra i due. E' così anche per il benessere o la felicità. che vanno percepiti come provenienti dai due...
L'apertura all'altro e il ritorno a sé producono incessantemente frontiere mobili - che contornano l'energia e le consentono di svilupparsi secondo un ordine vivente. Non più limiti imposti da un di fuori, ma un essere-in-relazione che esige in ogni istante un'efflorescenza contenuta per ciascuno.
Coltivare l'attrazione implica non lasciarla paralizzare in abitudini, norme, gesti e discorsi già definiti.
Il desiderio va a perdersi se non vi si sta attenti.
Ciò che fa del desiderio occasione di degradazione è la non considerazione del suo carattere originale e singolare, e del contesto intersoggettivo in cui accade.
L'altro arresta il mio slancio verso un avvenire cui solo la morte dava un orizzonte, opponendogli il limite imposto da un'altra trascendenza, la sua.
Non è solo da ciò che ci circonda che dobbiamo essere affetti. Questa affezione deve accompagnarsi a una auto-affezione che la metta in prospettiva, e richiede di misurarsi con ostacoli specifici da parte dell'uomo o della donna.
Lo spazio allestito intorno all'altro non può essere il risultato di una semplice previdenza nei suoi confronti, almeno non di una previdenza concernente qualsiasi cosa si possa immaginare a partire da un mondo proprio.
L'altro come altro sfugge al mio sguardo, alla mia rappresentazione. Una logica che privilegia lo sguardo esclude la coesistenza e la comunicazione con l'altro come altro. E ogni stima di differenza rispetto all'altro diventa allora solo quantitativa, cioè valutata in funzione di una stessa scala di valori. Riteniamo che l'altro valga più o meno di noi, invece di differire da noi e vivere in un mondo dove altri valori hanno corso.


Non è in una dimora immutabile, nella quale abbiamo riservato un posto per qualunque ospite, che dobbiamo accogliere chi ci appella. Il luogo dove potremmo accoglierlo è ancora da scoprire, da aprire, da allestire. Importa provare e ascoltare con tutto il nostro essere dove siamo stati colti dall'appello, e come corrispondervi. Dare un'ospitalità tradizionale è senza dubbio meglio che vietare completamente l'accesso della propria dimora all'altro, ma non significa ancora condividere con lui...


Nel silenzio, l'altro può avanzare verso noi, così come noi possiamo avanzare verso lui. Un silenzio che è anzitutto un'indicazione a proposito della nostra attitudine a rinunciare a un significato organizzato solo dai nostri propri segni. E' l'annuncio di un riserbo, non solo in noi per appropriarci di ciò che accade, ma anche fuori di noi per lasciargli uno spazio-tempo per accadere.
Luce Irigaray

lunedì 9 dicembre 2019

Spaziani

Vorrei sentire la tua mano fresca
sulla fronte che brucia. Così scende
sopra i roseti esausti la rugiada.
Così sboccia la luna nel buio.
Aiutami ad amarti, ad inventarti
nelle tue assenze. La mia fantasia
è comunque un tuo dono, un chiaro alibi
in questo mondo senza altrove.

domenica 8 dicembre 2019

Mary Oliver - Misteri, sì.

Misteri, sì
Davvero, viviamo con misteri troppo prodigiosi
per essere compresi.
Come l’erba possa essere nutrimento nella
bocca degli agnelli.
Come fiumi e pietre siano per sempre
devoti alla gravità
mentre noi sogniamo di elevarci.
Come due mani si tocchino e i legami
non siano mai spezzati.
Come le persone si avvicinino, per delizia o per
le cicatrici del danno,
al conforto di una poesia.
Lasciami prendere le distanze, sempre, da chi
pensa di avere le risposte.
Lascia che io faccia compagnia sempre a chi dice
“Guarda!” e ride di stupore,
e china la testa.

Mysteries, Yes
Truly, we live with mysteries too marvelous
to be understood.
How grass can be nourishing in the
mouths of the lambs.
How rivers and stones are forever
in allegiance with gravity
while we ourselves dream of rising.
How two hands touch and the bonds
will never be broken.
How people come, from delight or the
scars of damage,
to the comfort of a poem.
Let me keep my distance, always, from those
who think they have the answers.
Let me keep company always with those who say
“Look!” and laugh in astonishment,
and bow their heads.
Mary Oliver (Maple Heights – Ohio, 1935-2019), da Evidence, Poems by Mary Oliver

One day you finally knew...Un giorno comprendesti finalmente

One day you finally knew
what you had to do, and began,
though the voices around you
kept shouting
their bad advice-
though the whole house
began to tremble
and you felt the old tug
at your ankles.
"Mend my life!"
each voice cried.
But you didn't stop.
You knew what you had to do,
though the wind pried
with its stiff fingers
at the very foundations, though their melancholy
was terrible.
It was already late
enough, and a wild night,
and the road full of fallen branches and stones.
but little by little,
as you left their voices behind,
the stars began to burn
through the sheets of clouds,
and there was a new voice
which you slowly
recognized as your own,
that kept you company
as you strode deeper and deeper
into the world,
determined to do
the only thing you could do-
determined to save
the only life you could save.

Mary Oliver, Dream Work,  & New and Selected Poems, Beacon Press, 1992.


Un giorno, finalmente, hai capito
quel che dovevi fare, e hai cominciato,
anche se le voci intorno a te
continuavano a gridare
i loro cattivi consigli-
anche se la casa intera
si era messa a tremare
e sentissi le vecchie catene
tirarti le caviglie.
“Sistema la mia vita!”,
gridava ogni voce.
Ma non ti fermasti.
Sapevi quel che andava fatto,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
giù fino alle fondamenta, anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già piuttosto tardi,
una notte tempestosa,
la strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma poco a poco,
mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le stelle si sono messe a brillare
attraverso gli strati di nubi
e poi c'era una nuova voce
che pian piano
hai riconosciuto come la tua,
che ti teneva compagnia
mentre procedevi a grandi passi,
sempre più nel mondo,
determinata a fare
l'unica cosa che potevi fare -
determinata a salvare
l'unica vita che potevi salvare.

Due poesie di Mary Olivier

Un giorno, finalmente, hai capito
quel che dovevi fare e hai cominciato,
anche se le voci intorno a te
continuavano a gridare
i loro cattivi consigli;
anche se la casa intera
si era messa a tremare
e ti sentivi alle calcagna
l’antico contrasto.
“Sistema la mia vita!”,
gridava ogni voce.
Ma non ti fermasti.
Sapevi quel che andava fatto,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
giù fino alle fondamenta,
anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già piuttosto tardi,
era una notte tempestosa,
la strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma poco a poco,
mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le stelle si sono messe a brillare
attraverso gli strati di nubi
e poi c’era una nuova voce
che pian piano hai riconosciuto come la tua,
che ti teneva compagnia
mentre t’inoltravi sempre più,
di buon passo, nel mondo,
determinata a fare
l’unica cosa che potevi fare;
determinata a salvare
l’unica vita che potevi salvare.
Mary Oliver – Il Viaggio


THE SUMMER DAY

Who made the world?
Who made the swan, and the black bear?
Who made the grasshopper?
This grasshopper, I mean-- the one who has flung herself out of the grass,
the one who is eating sugar out of my hand,
who is moving her jaws back and forth instead of up and down--
who is gazing around with her enormous and complicated eyes.
Now she lifts her pale forearms and thoroughly washes her face.
Now she snaps her wings open, and floats away.
I don't know exactly what a prayer is.
I do know how to pay attention, how to fall down
into the grass, how to kneel down in the grass,
how to be idle and blessed, how to stroll through the fields,
which is what I have been doing all day.
Tell me, what else should I have done?
Doesn't everything die at last, and too soon?
Tell me, what is it you plan to do
with your one wild and precious life?
Mary Oliver, The House Light Beacon Press Boston, 1990.
Chi ha fatto il mondo?
Chi ha fatto il cigno e l'orso bruno?
Chi ha fatto la cavalletta?
Questa cavalletta, intendo, quella che è saltata fuori
dall'erba,
che sta mangiandomi lo zucchero in mano,
che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù
e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati.
Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura.
Ora apre le ali di scatto e vola via.
Non so esattamente che cosa sia una preghiera;
so prestare attenzione, so cadere nell'erba,
inginocchiarmi nell'erba,
so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati,
è quel che oggi ho fatto tutto il giorno.
Dimmi, che altro avrei dovuto fare?
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Dimmi, che cosa pensi di fare
della tua unica vita, selvaggia e preziosa?