lunedì 30 settembre 2019

Recensione "Così", a cura di Roberto Ranieri su "non solo cinema"

Così, la nuova fatica in versi della bolognese Miriam Bruni, sembra voler spiazzare il lettore fin dall’inizio, partendo da un’inversione di “peso” nel rapporto fra testo e titolo. Se il secondo di solito tende ad inseguire una condensazione simbolica del primo, per metonimia o metafora esemplari, qui l’avverbio secco offre la sponda a una specie di azzeramento preventivo di ogni convenzione, o finzione di parola, intesa come struttura di logos depositata a svelare il Mondo, e ribadisce allo scopo l’attacco anaforico del primo testo della raccolta:
Così scoscesa, concisa, contesa. / Così cantata dal vento, cercata / dal pianto. / Così silente e sconcertante, / così suadente, così cangiante. / Così io sono, / così vi amo
Se da un lato la percussione asseverativa dell’avverbio rinvia a un’indifesa permeabilità del soggetto rispetto al mondo, “Così” galleggia a vista fin dalla copertina del libro come segnaposto esplicito di una specie di destrutturazione preventiva. Le pertinenze dell’io lirico sembrano restringersi in Bruni all’hic et nunc di quella che Zanzotto, sul versante di una laica e creaturale ontologia, chiamerebbe pura “notificazione di presenza”; e dalla quale deriva sulla pagina un duplice registro di risalita al senso, o al Senso, non senza attriti interiori, anzi, probabilmente in virtù di questi stessi attriti. Da una parte, la riaccensione silenziosa e ardente di un insistito atto di fede, che attraversa l’intera produzione della poetessa bolognese, e orienta il testo nel tono a mezza voce di una richiesta d’ascolto, di sponda riaperta alla certezza di un’Interlocuzione Celeste; dall’altra, l’elaborazione di oggetti linguistici chiusi, dal sapore spesso epigrammatico, regolati dall’emersione preverbale e contemplativa di quel primo flusso interiore quale atto ineludibile di avvicinamento all’Essere, refrattari quindi a ulteriori strutturazioni o ampliamenti:
Io nacqui tua, Poesia. / Però giurami, Dio, che non è / – non sarà idolatria.
Il che porta direttamente a una delle caratteristiche ricorrenti di questi versi, e cioè la commistione di registri stilistici talvolta assai divaricati, in qualche caso spiazzante:
Al fresco cielo dicembrino / votato ora all’arancione / ma senza stacchi bruschi / – senza presunzione; a lui mi stringo / per consolare il cuore
Il fatto è che la poesia stessa, nell’evocare una propria funzione di consonanza armonica col Tutto marcata dalla Fede, non può scendere a patti con l’edulcorazione o la contraffazione connotativa del gesto, prima che del testo, che la esprime. E tutto ciò che tocca l’umano, in Bruni, si riammanta di fatico candore, “consola il cuore” come un’urgenza non differibile di quiete senza orpelli o devianze formali che inarchino altrove il soggetto; oppure, ancora peggio, seminino indizi dell’idolatria di cui sopra, nelle crune dei grafemi spesi come reti di una pesca miracolosa del Sé. Fino a sperimentare improvvise rarefazioni e allargamenti delle maglie, e dar vita a accensioni folgoranti, come nei versi seguenti:
Ci sfiora le caviglie il tempo / e dopo / la sommità del capo / A cerchio / passando accanto agli arti – mandala / di un re dimenticato.

mercoledì 25 settembre 2019

Silvio Ramat

Nulla di quanto in anni
remoti ho fatto o scritto, e men che meno
in questo che finisce, potrà dirsi
robusto.
D’altronde, in ancor tenera
età, se l’argomento erano gli alberi,
pensavo, per amore anche del nome
accarezzando il fusto:
betulla ontano salice;
e non torrenti impetuosi: rivi
che anche un bambino guada
poco bardato e l’attraversa il vento.
Non lascio pergamene; un documento
semmai su quella che più non si vende
cartavelina
un mezzo testamento
d’aria, un bucato che s’appende al vento.
Silvio Ramat

Dickinson

898

How happy I was if I could forget
To remember how sad I am
Would be an easy adversity
But the recollecting of Bloom
Keeps making November difficult
Till I who was almost bold
Lose my way like a little Child
And perish of the cold.





937

I felt a Cleaving in my Mind -
As if my Brain had split -
I tried to match it - Seam by Seam -
But could not make them fit.

The thought behind, I strove to join
Unto the thoght before -
But Sequence ravelled out of Sound
Like Balls - upon a Floor.





1129

Tell all the Truth but tell it slant -
Success in circuit lies
Too bright for our infirm Delight
The Truth's superb surprise
As Lightening to the Children eased
With explanation kind
The Truth must dazzle gradually
Or every man be blind -





1677

On my volcano groes the Grass
A meditative spot -
An acre for a Bird to choose
Would be the general thought
How red the Fire rocks below -
How insecure the sod
Did I disclose
Would populate with awe my solitude.





1510

How happy is the little Stone
That rambles in the Road alone
And doesn't care about Careers
And Exigencies never fears -
Whose Coat of elemental Browns
A passing Universe put on,
And indipendent as the Sun
Associates or glows alone,
Fulfilling absolute Decree
In casual simplicity -


E. Dickinson

Milo de Angelis, sulla parola poetica


Ho sempre amato, nella parola poetica, la presenza di un pensiero capace di nutrirla e di scorrere insieme a lei. Ma deve essere un pensiero impregnato di vita, pulsazione, tremore, ferita, spaesamento, un pensiero inondato dal sangue.
Milo de Angelis, Poesia e destino

lunedì 9 settembre 2019

In soffitta

In soffitta con mamma gatta


Mamma gatta ha nascosto i micini in soffitta, e all’orario
prescritto li allatta, con circospezione e nessunissima
fretta. Un poco in disparte, appostata su tegole aguzze,la bambina non muove che il piccolo petto, leggero,in trepida attesa di quell’evento perfetto. Pare una statuadi sale a contatto col mare: del mestiere di madreassorbe ogni piccolo fatto, dal prodigio di quella premura,al silenzio e alla luce segreta di ogni nobile cura. Sa di leimamma gatta, nel buio: sta guardinga, ma senza timore;intuisce l’aguzza tensione, l’amore di quella bambinache al sole e ai giochi rinuncia per starle vicina e apprendereun’arte così sopraffina. Una gatta coi gattini, e una Miriammirata che cambia posizione, prende fiato, appagata,abbassa la tensione. Poi esce, intorpidita, di luce abbacinata.

Ungaretti sulla poesia

Non so se la poesia possa definirsi. 

Credo e professo che sia indefinibile e che essa si manifesti nei momenti della nostra parola quando ciò che ci è più caro, ciò che di più ci ha inquietato e agitato nei nostri sentimenti e nei nostri pensieri, ciò che appartiene più profondamente alla ragione stessa della nostra vita, ci appaia nella sua verità più umana; ma in una vibrazione che sembri superare la forza dell'uomo e che non saprebbe mai essere conquista né di tradizioni né dello studio sebbene delle une e dell'altro essa incessantemente si nutra.


Ungaretti