giovedì 19 agosto 2021

Giangiacomo Amoretti - sulla poesia

La poesia sa la ferita. Non la dissimula né la esibisce. Non la nega né la cancella. La dice. E mentre la dice la solleva – trattenendola, immobile, nella propria luce: la muta di stato, la trasfigura nel linguaggio della bellezza. Perciò la ferita, per un attimo, sembra come essersi rimarginata, quasi pare scomparsa. Ma è una illusione. Anche sulla pagina scritta, e fin dentro ogni verso e ogni sillaba, il sangue continua a spargersi e a scorrere a rivoli – lo strazio, ancora, resta non medicato.


Non è raro che la poesia celi in sé un sentimento di pena e quasi di vergogna per lo splendore della propria bellezza, così macchiato di sangue.



I poeti conoscono la sostanza materica, densa, “carnale”, delle parole. Spesso ce la fanno percepire, sillaba dopo sillaba, così intensamente che noi arriviamo quasi a sentirne – sulla pelle, nell’anima – la pressione dolorosa. Altre volte invece, simili a bizzarri equilibristi del linguaggio, le fanno volare nell’aria, le parole, quasi giocassero, sfidandola, con la legge di gravità. Ma anche in tal caso non dimenticano, non dimenticano mai – e solo per questo sono veri poeti – quanto fortemente e duramente ogni singola parola pesi.

mercoledì 18 agosto 2021

Eunice Odio, sulla poesia

Intendo che il compito del poeta è quasi contrario a chi cerca esclusivamente se stesso. Il poeta va cercando Dio e solo lo incontra nel profondo di tutti gli uomini. E solo è poeta quando conosce ciò che è nell’animo di tutti gli uomini possibili; e lo conosce solo quando li ama immensamente e appassionatamente. Se mi dicessero di scegliere tra l’ appartenere ai poderosi della terra e l’appartenere a quelli che possono dar vita a una nuova parola, non vacillerei nemmeno un momento. E se mi dicessero che mi danno una grande poesia in cambio della miseria, ma solo una grande poesia, scelgo quest’ultima, benché sia solo una. Così è stato da quando ho capito che la poesia non era per me solo una propensione, ma un destino implacabile. Non c’è cosa che non darei per la Bellezza, che a sua volta è una forma di Dio; la più vicina alla Sua Natura.

Eunice Odio

martedì 10 agosto 2021

Offri la tua bellezza sempre - Una poesia di Rilke


Ah, non essere separati

non esclusi, per minima parte,
dalla misura delle stelle.
Lo spazio in noi altro non è
che intensità di cielo,
solchi di uccelli, profondità
di venti del ritorno.
Offri la tua bellezza sempre
senza calcolare, senza parlare.
Resta in silenzio. Lei dice per te: io sono.
E giunge mille volte in mille modi,
giunge infine per ciascuno.
artist: Ivan Garrini

domenica 8 agosto 2021

Estratto da un'intervista a Stefano Marotta (pubblicata su Perigeon)

Se la poesia è l’atto di una parola che si offre nella gratuità del suo darsi e in essa trova la radice primaria del suo essere libertà e destino di libertà, quell’atto è essenzialmente amore, cioè apertura e sguardo, e le forme in cui il circuito di questo dono si attiva sono infinite, e interminabilmente incodificabili, esattamente come le forme in cui si presenta la vita.
Quale che sia la “forma” in cui si manifesta e si declina, quale che sia l’oggetto su cui si indirizza, per assorbirlo e/o lasciarsene assorbire, la parola amore mi ha sempre richiamato una suggestione maturata nella prima giovinezza, leggendo e rileggendo il Decameron, la madre di tutte le narrazioni (perché l’amore è racconto, récit, poème, teatro, dialogo, incontro): che si tratti di una forza metamorfica che fa tutt’uno con l’esistenza nella sua pienezza, di un movimento incessante che si manifesta in un sentire, sintomatico o strutturato, desiderante, che sottende una tensione interminata verso l’altro, verso quella diversità che sola dice il nostro nome, ci definisce come volti e voci, crea l’alfabeto e la mappa dell’interrogazione che ci dimora.

Non può amare, anche riempiendosene la bocca e sbandierandone le intenzioni ai quattro venti, e quindi non vive, chi ha cancellato l’alterità dalla visuale dei suoi giorni, chi non riconosce quell’assenza come uno spazio del suo essere, fisico e psichico, da colmare, da abitare – lasciandosene contemporaneamente colmare e abitare.

La poesia, a Suo parere, coinvolge in primo luogo la conoscenza o il sentimento?

Credo che la parola poetica possa dire tutto, e che in questo tutto si esprima un’assoluta libertà senza ragione, un’incessante scoperta di sensi altri, di suoni-voci-volti che aggiungono, ad ogni tappa della ricerca, nuove note e nuovi tasselli alla partitura e al mosaico interminabili dell’esistenza umana.
E’ un cammino di ordine sostanzialmente gnoseologico, se si vuole, ma tracciato su una mappa affatto inconsueta, fuori controllo e fuori dall’ordine di rotte predefinite, che ha come estremi skèpsis e hairesis, e nessun’altra finalità che non sia l’ascolto di quanto, insieme a noi, tracima in altre forme, senza certezze in merito a presunte verità assolute, date o da scoprire: un percorso alimentato e sorretto unicamente dall’eco dei passi, dall’eco che si fa fuoco di segni sulla pagina, dal fuoco che è il cuore pulsante di una interrogazione senza inizio e senza fine.
Il sentimento, allora, come qualsiasi altra istanza (emozionale, istintuale, intellettuale, sociale, politica, civile) non può essere estraneo a questo peregrinare, ma non può costituirne l’unica ragion d’essere: nel senso che se una poesia nasce intenzionalmente per commuovere, per dare libero sfogo a un bisogno, per convincere, per sostenere una tesi o quant’altro, essa semplicemente non-è-più in quanto tale: sarà un manufatto, un oggetto, una produzione, un testo apprezzabile per tanti versi e in tanti ambiti, ed anche di egregia sostanza, ideazione e struttura, perché no, ma non più poesia, in quanto l’intenzione, proprio quella espressa e non un’altra, escludendo il molteplice che è la totalità della sua natura plurale, le nega ogni statuto di esistenza.

Una poesia di Alessandra Berardi






C’era una voce...» C’era...
Sì, ma che cosa c’era
prima di quella volta?
C’era un giorno... una sera...
E prima? Ancora prima?
Prima della mattina...
del sole e della brina...
di chi parla e chi ascolta...
che cosa c’era, prima?
Prima di tante volte
prima di tanti volti
prima che faccia tardi
prima dei pochi e i molti
prima dei primi sardi
e dei babilonesi...
prima! sì, prima-prima.
Prima degli anni e i mesi...
Prima di tutto. Intanto
- Questo lo credo io –
prima c’era soltanto...
C'era il cuore di Dio.