sabato 26 agosto 2023

Una poesia di Cecilia Meireles



SPIEGAZIONE

Cecilia Meireles (1901-1964)
Trad. Emilio Capaccio
Il pensiero è triste; l’amore, insufficiente;
e voglio sempre di più da ciò che viene dai miracoli.
Lascio che la terra mi sostenga:
conservo il resto per dopo.
Dio non mi parla — e so che mi conosce.
Agli antichi venti ho dato le lacrime che avevo.
La stella sorge, la stella cade…
— Aspetto la mia venuta.
(Navigo nella memoria
senza argini.
Qualcuno narra la mia storia
e qualcuno uccide i personaggi.)
*
EXPLICAÇÃO
O pensamento é triste; o amor, insuficiente;
e eu quero sempre mais do que vem nos milagres.
Deixo que a terra me sustente:
guardo o resto para mais tarde.
Deus não fala comigo — e eu sei que me conhece.
A antigos ventos dei as lágrimas que tinha.
A estrela sobe, a estrela desce …
— espero a minha própria vinda.
(Navego pela memória
sem margens.
Alguém conta a minha história
e alguém mata os personagens.)

venerdì 25 agosto 2023

Una poesia di Elena Milani


Ascolto questo peso che spreme,

ma solo nòccioli aspri 

e scorza ruvida ho fra le mani,

è  un concentrato avvolto su se stesso 

che preme il tappo chiuso, 

un tempo che sfianca e sfilaccia i nervi 

l'energia vorace mi centrifuga,

prosciuga senz'aria lo straccio, 

è  battito esagerato di un cuore stanco,

la parola è  rumore, 

la luce è  un prisma accecante, 

la festa, un'orgia di confusione, 

è  un apice nel giro della ruota,  

un mantice che esagera, 

meglio strisciare sotto il filo spinato 

che arrampicarsi e scavalcare, 

meglio fingersi morti

a tutte le prove di resistenza, 

stare ignorati per scavallare 

questa luce che brucia gli occhi.


Elena Milani

domenica 6 agosto 2023

Una poesia di Annalisa Mercurio

 

Come se avessimo avuto
un numero di parole
un contratto a termine tra
le nostre corde vocali.
Abbiamo sprecato tutto
imprecando, sporcando di
pece boccioli di myosotis.
Avessimo centellinato
le spine avremmo ancora qualche
'ti amo' vivo tra lingua e denti
un'altra mano da giocare.
Schiena a schiena stiamo fissando
le ultime otto parole in calce
su quella parete sbiadire.

Una poesia di Serena Vestene

 

San Giorgio

Considero corpo
quel tuo capitarmi di fianco
quando salpa la mente al tuo cielo
e piano salgo la china ai giorni
vissuti altrove, schizzi impazziti
inzuppati di nero, e mi guidi lo sguardo
fino ai tuoi piedi di marmo
mentre guardo distante
un tuo tocco di campane
sospirare tra i rovi.
E quel tuo coricarti mai stanco
considero corpo,
cullato nello sbadiglio del sole
e del verde disteso di vigne,
con le pietre indifese
custodite alle rose,
e i giganti soffioni là sotto,
tra i campi.
Considero corpo quel tuo caricarti
il peso degli anni
come barba d'anziani
cresciuta nel muschio
sulla terrazza giù in piazza
e l'appannata vista del lago
e le rughe del vento
a raccontare della dea Lualda
i canti scolpiti.
Considero corpo
quel tuo capovolgermi gli intenti
se rifugiarmi lì dai brulicanti centri
vuol dire ravvivarmi il mormorio dei versi
nell'inchiostro intinto nel tuo chiostro
ai piedi della pieve.
Colori notturni, aria di neve
in un presepe di case, sei
presenza accesa, mi sei
preziosa a preservarmi umana
nella notte che cala.