Sii oltre ogni addio, come se fosse già dietro
di te – come l’inverno che appunto se ne va.
Perché tra i tanti inverni c’è un inverno talmente infinito
che, se il tuo cuore lo sverna, allora sopporta ogni cosa.
Sii sempre morto in Euridice – innalzati cantando
e, nella pura relazione, ridiscendi celebrando!
Qui tra quelli che svaniscono, nel regno del declino,
sii risonante cristallo che già nel suono s’è infranto.
Sii – e insieme sappi la condizione del non-essere,
fondamento interminato della tua interna oscillazione –
che tu possa compierla appieno, quest’unica volta.
Alle risorse già usate, come a quelle oscure e mute
della natura ricolma, alle somme indicibili,
aggiungi con gioia te stesso, pareggia il conto!
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Un albero si leva – o puro sovrastare!
Come canta Orfeo! – e il grande albero è in ascolto!
E tutto fu silenzio. Ma proprio in quel tacere
avvenne un nuovo inizio, cenno, mutamento.
Irruppero animali dalla quiete, dal chiaro
bosco liberato, da tane e nascondigli
e fu palese: non per astuzia o per timore
erano in sé così raccolti, ma – per l’ascolto.
Ruggito, grido, bramito, allora
parve ben poca cosa ai loro cuori.
E nell’orecchio – che era appena una spelonca,
un anfratto del più oscuro desiderio
con l’entrata dalla porta scardinata –
tu creasti per loro un santuario.