giovedì 20 novembre 2025

la storia di coraggio e amore di Elisabetta Marino


Lei seppellì suo marito di lunedì.

Mercoledì diede alla luce la sua bambina.
E venerdì già bussava alle porte, con la neonata legata sulla schiena… perché la parola resa non esisteva nel suo vocabolario.
Primavera, 1887. Campobasso.
Elisabetta Marino aveva solo ventidue anni quando il tifo le portò via il marito in tre giorni spietati.
Era all’ottavo mese di gravidanza, aveva solo qualche soldo in tasca e conosceva appena due persone in città – nessuna in grado di aiutarla.
Il funerale fu pagato a credito, un debito che non avrebbe mai potuto estinguere.
Due giorni dopo, in una stanza in affitto, buia e impregnata di polvere e dolore, sua figlia nacque in anticipo e gridò forte:
una neonata venuta al mondo in un luogo che non si aspettava che loro sopravvivessero nemmeno al primo anno.
La maggior parte delle donne nella sua condizione aveva solo tre opzioni: risposarsi in fretta, tornare dalla famiglia o scomparire nella miseria.
Elisabetta non aveva una famiglia.
E non si sarebbe mai sposata per un tetto sulla testa o per un piatto di minestra.
Così scelse una quarta possibilità…
quella che non si legge nei libri di storia,
perché ogni sera abbatte una donna
e ogni mattina la costringe a rialzarsi.
Lei lavorò. Lavorò. E lavorò.
Raccoglieva panni da lavare – strofinava i vestiti degli sconosciuti in una tinozza finché le mani non le sanguinavano,
mentre la bambina dormiva in una cassetta foderata con vecchi sacchi di juta.
Quando non bastava, puliva le osterie prima dell’alba –
rimuoveva vino versato, lacrime secche e sangue rappreso prima che la “brava gente” aprisse gli occhi.
Quando nemmeno questo era sufficiente, lavorava di notte nelle locande –
cambiava lenzuola, svuotava catini –
mentre la sua bambina piangeva due strade più in là,
a casa della vicina che la teneva per qualche lira all’ora.
La fame viveva dentro di lei come un secondo battito del cuore.
La stanchezza, come una seconda colonna vertebrale.
Alcune notti vegliava sopra la figlia addormentata e tremava –
dal freddo, dalla paura, dalla matematica crudele della sopravvivenza che non tornava mai.
Indossò lo stesso vestito per due anni.
Mangiò croste secche lasciate dai fornai.
Invecchiò di dieci anni in dodici mesi.
Ma non mancò mai l’affitto.
Non lasciò mai sua figlia senza cibo.
Non smise mai di cantarle una ninna nanna, anche quando la gola le bruciava per il pianto.
E poi, lentamente, centimetro dopo centimetro, le cose cominciarono a cambiare.
Nel 1895, Elisabetta aveva risparmiato abbastanza per aprire una piccola pensione.
Nel 1900, era proprietaria dell’edificio.
Sua figlia, Maria, crebbe vedendo la madre trasformare la fatica in forza, e la forza in un piccolo impero…
un giorno difficile alla volta, con nient’altro che mani rovinate e una volontà incrollabile.
Maria diventò maestra, poi direttrice…
una delle prime donne in Molise a ricoprire quel ruolo.
Quando tenne il discorso di fine anno all’Istituto Magistrale di Campobasso nel 1923, cominciò con queste parole:
“Mia madre mi ha insegnato che la dignità non è qualcosa che ti viene concessa—
ma ciò che scegli di non cedere.
Lei ha lavato pavimenti affinché io oggi potessi stare su questo palco.
Questo non è solo sopravvivere.
Questo è rivoluzione – con un grembiule di cotone e del sapone.”
Elisabetta visse fino a ottantatré anni.
Abbastanza per vedere sua figlia andare in pensione con onore,
i nipoti laurearsi,
e i pronipoti nascere in un mondo dove lei, un tempo, aveva raschiato la vita
con mani dure e un coraggio che non si spezzava mai.
Negli ultimi anni, qualcuno le chiese cosa l’avesse tenuta in vita nei tempi più duri.
Lei ci pensò un attimo e rispose piano:
“Ogni mattina guardavo Maria e mi dicevo:
Questa bambina non conoscerà mai la fame.
Questa bambina non chiederà mai pietà.
E quel pensiero era più forte di qualsiasi stanchezza.”
Alcune donne sopravvivono.
Alcune donne resistono.
Elisabetta Marino costruì una dinastia con dolore, forza e una figlia sulla schiena…
e lei lo chiamava amore. ❤️

lunedì 29 settembre 2025

"Ho spiato l'amore", di Gianluca Emiliani



Ho spiato l’amore
che dormiva beato
con in mano il dolore
e nell’altra il creato.

Con le palpebre assorte,
come gialla ginestra,
fa la guerra alla morte,
ma le tiene la destra.

L’ho spiato nascosto
dietro a mille cautele,
tra dolcezze di mosto
e amarezze di fiele.

Gianluca Emiliani

lunedì 8 settembre 2025

Riccardo Muti, sulla cultura...

Se togliamo ai nostri figli la possibilità di avvicinarsi all’arte, alla poesia, alla bellezza, in una sola parola alla cultura, siamo destinati a un futuro di gente superficiale e pericolosa.

Per questo occorre difendere un settore che non esiste per dare dei profitti, ma per parlare direttamente alla gente.
Sottolineo che un’orchestra sinfonica costa molto, ma molto meno di un giocatore di calcio.
I dittatori hanno sempre cercato di chiudere la bocca agli artisti e agli intellettuali, perché la cultura, nonostante l’imbarbarimento estetico al quale stiamo assistendo, continua a essere l’anima del popolo.
L’Europa ha alle spalle una storia importantissima, sul piano culturale è stata a lungo leader nel mondo.
Ora non può dimenticarlo: per risalire e tornare propositiva, basterebbe che i governi dei vari Paesi togliessero un po’ di denaro alle cose superflue e lo destinassero prima all’educazione, poi all’educazione e quindi all’educazione.

Riccardo Muti

domenica 7 settembre 2025

"Ostrica perlifera", di Margherita Guidacci


 Ph Miriam Bruni


Dio mi ha chiamata ad arricchire il mondo

decretandone il semplice strumento:

basta un opaco granello di sabbia

e intorno il mio dolore iridescente!

Da Neurosuite

Testamento, di M.L. Spaziani

Testamento

Lasciatemi sola con la mia morte. Deve dirmi parole in re minore che non conoscono i vostri dizionari. Parole d'amore ignote anche a Petrarca, dove l'amore è un oro sopraffino inadatto a bracciali per polsi umani.
Io e la mia morte parliamo da vecchie amiche perché dalla nascita l'ho avuta vicina. Siamo state compagne di giochi e di letture e abbiamo accarezzato gli stessi uomini. Come un'aquila ebbra dall'alto dei cieli, solo lei mi svelava le misure umane.
Ora m'insegnerà altre misure che stretta nella gabbia dei sei sensi invano interrogavo sbattendo la testa alle sbarre. È triste lasciare mia figlia e il libro da finire, ma lei mi consola e ridendo mi giura che quanto è da salvare si salverà.

Maria Luisa Spaziani

sabato 6 settembre 2025

Cecília Meireles tradotta da Emilio Capaccio

ÊXTASE

Deixa-te estar embalado no mar noturno
onde se apaga e acende a salvação.
Deixa-te estar na exalação do sonho sem forma:
em redor do horizonte, vigiam meus braços abertos,
e por cima do céu estão pregados meus olhos, guardando-te.
Deixa-te balançar entre a vida e a morte, sem nenhuma saüdade.
Deslisam os planetas, na abundância do tempo que cai.
Nós somos um tênue pólen dos mundos...
Deixa-te estar neste embalo de água geando círculos.
Nem é preciso dormir, para a imaginação desmanchar-se em figuras
ambíguas.
Nem é preciso fazer nada, para se estar na alma de tudo.
Nem é preciso querer mais, que vem de nós um beijo eterno
e afoga a bôca da vontade e os seus pedidos...


Traduzione di Emilio Capaccio

ESTASI
Lasciati cullare nel mare della notte
dove s’accende e si spegne la salvezza.
Lasciati andare nell’esalazione del sogno senza forma:
intorno all’orizzonte, vegliano le mie braccia spalancate,
e sopra il cielo sono inchiodati i miei occhi, a guardia di te.
Lasciati oscillare tra la vita e la morte, senza alcuna nostalgia.
Scivolano i pianeti, nell’abbondanza del tempo che cade.
Siamo un tenue polline dei mondi...
Lasciati permanere in questa culla d’acqua, che gela ai circoli.
Non c’è bisogno neppure di dormire, perché l’immaginazione si sciolga in figure
ambigue.
Non c’è neppure bisogno di fare nulla, per essere nell’anima d’ogni cosa.
Non c’è neppure bisogno di voler altro, perché da noi viene un bacio eterno
che affoga la bocca del desiderio e le sue richieste...


venerdì 5 settembre 2025

Anaide Beiriz tradotta da Emilio Capaccio

Anaíde Beiriz (1905-1930)

NȂO! EU NȂO HEI DE CHORAR

Não! Eu não hei de chorar
tu me conheces bem pouco.
Dizes que procurarás me esquecer
desafio-te que o consigas.
as marcas das minhas carícias não foram feitas pra desaparecer facilmente.
Mil outros lábios que se encrustarem na tua boca,
não arrancarão de lá a lembrança minha.
Apraza-te que eu guarde meus beijos?
Guardá-los-ei, por enquanto...
Advirto-te, porém, que beijos são como vinhos raros
quanto mais velhos, melhor embriagam...
E tu, que fizestes pra mim muito mais desejada
porque tenho que te arrancar do domínio de outra mulher?
Tens medo do meu amor?
O meu amor é impulsivo, é torturante, é estranho, é infernal.
Ouve contudo o que te digo:
hás de experimentá-lo ainda uma vez...
então veremos, quem de nós dois chorará.


Traduzione di Emilio Capaccio

No! io non dovrò piangere
tu mi conosci poco.
Dici che cercherai di dimenticarmi
sfido che ci riuscirai.
I segni delle mie carezze non sono fatti per svanire facilmente.
Mille altre labbra che s’incrosteranno sulla tua bocca,
non strapperanno da lì il mio ricordo.
Vuoi che conservi i miei baci?
Li conserverò per ora ...
Ti avverto, però, che i baci sono come vini rari
più invecchiano, meglio t’ubriacano...
E tu, che mi hai resa molto più desiderata
perché devo strapparti dal dominio di un’altra?
Hai paura del mio amore?
Il mio amore è impulsivo, tormentoso, strano, infernale.
Ascolta però ciò che ti dico:
dovrai sperimentarlo ancora una volta...
allora vedremo chi di noi piangerà.

lunedì 1 settembre 2025

Un brano di Umberto Galimberti sull'intelligenza


"...La mimetizzazione dell’intelligenza è quindi una grande virtù: la virtù degli insegnanti che non sfoggiano tutto il loro sapere, ma solo quello che può essere recepito e nelle forme in cui può essere recepito; la virtù degli psicoanalisti che, pur individuando dopo due sedute di che cosa soffre il paziente, attendono molte sedute affinché il paziente pervenga da sé alla sua verità; la virtù dei genitori che, pur avendo presenti le capacità che i figli potrebbero tradurre in professioni, attendono che i figli le riconoscano da soli, sorreggendo i loro percorsi con piccoli accenni quando i figli sono nella condizione di recepirli; la virtù dei politici che hanno il polso del paese reale e non solo degli obiettivi che vogliono perseguire, indipendentemente dal consenso o dal dissenso opportunamente valutato; ma direi anche la virtù delle veline, alcune delle quali hanno senz’altro significative capacità intellettuali, che però, dato il contesto, non è il caso di esibire in un concorso di bellezza, dove l’attenzione è tutta concentrata sulle misure e le forme del corpo. La mimetizzazione dell’intelligenza è la virtù delle persone veramente intelligenti, che sanno coniugare la verità con la comprensione della verità, per la quale sono disposti a rinunciare all’esibizione di sé per la cura dell’altro e la comprensione delle modalità con cui l’altro può capire quanto si va dicendo. All’intelligenza che sa mimetizzarsi compete quella virtù che possiamo chiamare altruismo, qui inteso non come “buonismo”, ma come percezione di ciò che è altro da me, perché consapevole che gli altri, con le loro obiezioni anche grossolane, possono costituire uno stimolo a un ulteriore ricercare e intendere e trovare. Dimensioni, queste, tutte impedite alle intelligenze narcisistiche che, non percependo nulla dell’altro, del suo livello di comprensione e del valore delle sue obiezioni (che i narcisisti scambiano per attacchi), irrigidiscono la loro intelligenza, facendola diventare sempre più dogmatica, e alla fine arida e fossilizzata, perché non dialogica e non recettiva di quanto gli altri e il mondo hanno ancora da insegnare..."

Umberto Galimberti - "I miti del nostro tempo" -
Cap "La mimetizzazione dell’intelligenza"

Sono radicata dove devo morire, una poesia di Margherita Guidacci


Il mio cuore appartiene

A coloro che lo divoreranno,

E so che stanno venendo.

Ho sobbalzato

Anche per una piuma fluttuante nell'aria,

Non sapendo quale sarà il loro segno.

Credo di udire i loro passi:

La notte e il vento sono pieni di passi.

O forse avranno ali

E piomberanno su me come un falco,

O arderanno dal suolo come fiamma,

O balzeranno dal mio stesso cuore.

Così sto in ascolto.

Non so dove volgermi.

Sono radicata dove devo morire.

Sono un albero marcato di rosso 

Perché l'ascia lo riconosca;

Un albero marcato nel bosco

Che sarà traversato da una strada,

E odo l'ascia che canta

Una canzone di morte intorno a me,

Si avvicina pesante come il passo di un ubriaco,

Il battito di un folle cuore o di un folle tamburo.


Trovo che queste parole nate dall'estro di Margherita Guidacci per esprimere l'angoscia del ricco Epulone della parabola evangelica, possano oggi interpretare invece i sentimenti e i singhiozzi, il costante allarme e l'angoscia di morte che sta soffocando i poveri palestinesi.................


Poesia Guidacci - Foto Bruni


                                                                                            ph Miriam Bruni



All'eterno

Come onde la tua riva tocchiamo;

Ogni istante è confine tra l'incontro e l'addio.

Dal nostro mare in te fuggire, nel nostro mare fuggirti:

Non altro è di noi labili il destino.

Né tregua mai ci è data, anche se amore

Od altra arcana ansia più lontano ci spinse

Sulle tue sabbie, in vista delle torri

Della superba tua città. Ché ancora

Indietro ci trascina il nostro peso

Nel mutevole abisso -

Siamo di nuovo desiderio e lamento.


(da Paglia e polvere)

Il dolore...secondo Isabella Bignozzi

ll dolore è sempre degno, materia candida. Castità ultima di tutti i corpi: proni alla pena, alla piaga, alla sete. Ma le zone d’ombra di ciò che si è patito, dove si ferma il cuore – che weilianamente duole, perché attendeva il bene – vanno taciute. Il male si estingue nell’inazione che potenzia l’interiorità, aggrappati ai propri frammenti d’innocenza.

Fare del cuore un sepolcro del mancato, dove il dolore è lasciato libero di scavare, finché non sia terminato il tripudio del crollo in ogni sua gloria: quello è il punto geometrico, puramente spirituale, che dell’umana bassezza fa dimora inerte, in contemplazione immobile. Senza volere, senza sapere, l’anima arresa, contrita di sé, che non biasima, ma si lascia divaricare dalla sofferenza avuta in sorte, non nutrendo rabbia, non desiderando reciprocità di abuso, in minima parte redime e svincola chiunque altro.

E non rinnega il suo sgomento Gesù, nell’abbandono (Mt 27, 46; Mar 15, 34): dichiara il bisogno. Sitio, ho sete. Continuare a chiedere il bene, senza timore di essere inesauditi, derisi, umiliati. Di fronte al male del mondo: presenza ridanciana, acefala, che strattona i viventi gli uni contro gli altri nel moto meccanico, nella cosa grezza. Chiunque dia la propria materia nobile in pasto alla pochezza, o pratichi la prevaricazione, l’umiliazione: chiunque in tal modo degradi sé stesso degrada ogni suo simile, inchiodando Cristo sulla croce, incessantemente.

Isabella Bignozzi

sabato 30 agosto 2025

Anne Hébert tradotta da Maura Baldini

                                                 

Anne Hébert


Andare per dirupi 

di fatica

Senza fine

Senza riprendere fiato

Impigliata nei suoi capelli

Come dentro ciuffi

di febbre

Il cuore in avanscoperta

Tutto nudo nel suo collo

Spillato come un folle uccello.


Vecchio caveau di famiglia

Sventrato

Gabbia di betulla bianca

Fracassata

Gioco del domino

Interrotto

Morbido petto crepato


Fracasso d'avorio a mezza voce 

Contro il nostro orecchio pieno

di sabbia

Blu del cielo

Grande grido della luce

sopra di noi.


Trad.di Maura Baldini

mercoledì 27 agosto 2025

Supervielle tradotto da Emilio Capaccio


Jules Supervielle (1884-1960)

ENCORE FRISSONANT
Encore frissonnant
Sous la peau des ténèbres
Tous les matins je dois
Recomposer un homme
Avec tout ce mélange
De mes jours précédents
Et le peu qui me reste
De mes jours à venir.
Me voici tout entier,
Je vais vers la fenêtre.
Lumière de ce jour,
Je viens du fond des temps,
Respecte avec douceur
Mes minutes obscures,
Épargne encore un peu
Ce que j’ai de nocturne,
D’étoilé en dedans
Et de prêt à mourir
Sous le soleil montant
Qui ne sait que grandir.


ANCORA TREMANTE
Ancora tremante
Sotto la pelle delle tenebre
Ogni mattina devo
Ricomporre un uomo
Con tutto questo miscuglio
Dei miei giorni passati
E il poco che mi resta
Dei miei giorni a venire.
Eccomi tutto intero,
Vado verso la finestra.
Luce di questo giorno,
Vengo dal fondo dei tempi,
Rispetta con dolcezza
I miei minuti oscuri,
Risparmia ancora un po’
Ciò che ho di notturno,
Di stellato dentro
E pronto a morire
Sotto il sole nascente
Che non sa che ingrandirsi.

Traduzione di Emilio Capaccio

giovedì 21 agosto 2025

M.C. Gonzales tradotta da Emio Capaccio


María Clara González (1952)
DESDE SIEMPRE
Tu paso
― de una sílaba ―
por mi larga fila
de palabras vacías
estaba anunciado desde siempre
Tu paso de ecos
como la lluvia
de tu tierra amada
era realidad antes de verte
Tu paso
de cascabel y gaita
era lo que en mi alma acontecía
cuando la visitaban de niña los presagios



DA SEMPRE

Il tuo passo
d'una sillaba ―
nella mia lunga fila
di parole vuote
era stato annunciato da sempre
Il tuo passo d'echi
come la pioggia
della tua terra amata
era realtà prima di vederti
Il tuo passo
di sonaglio e cornamusa
era ciò che nell'anima mi accadeva
quando da bambina la visitavano i presagi

Traduzione di Emilio Capaccio



Boris Calderon tradotto da Emilio Capaccio

NO SONIDO DEL DELIRIO FANTASMA
Hacia dónde huimos, arrancándonos las carnes?
Acosados de tinieblas. Perseguidos.
¿Hacia dónde? Gris del ángel.
En el Más Allá tras el llanto de las hienas,
Con un junco de oro entre sus manos descarnadas
Dios sacude y abre para siempre
La eternidad de nuestros ataúdes.
¡Cómo te amo!
¡Cómo un tumulto de moscas afiebradas
Encienden mi delirio!
Más, ¡oh! Bellas esclavas de la noche,
¿Por qué habéis adornado mi frente lacerada
Con guirnaldas de serpiente?
¿Porqué, malditas?
La noche en ella se ha posado verde
Y me muerde su color sin límite,
Me enloquece su color caído,
Su verde devorado por la muerte.
Mientras, alejada, todo cambia, todo muere,
Tu diadema de crótalos,
Tus cristales enlodados y tu llanto.
Todo ha muerto, Deshojada, todo ha verde
Y caído para siempre en el sonido

Boris Calderón (1934-1962)


NESSUN SUONO DEL DELIRIO FANTASMA

Verso dove fuggiamo, strappandoci la carne?
Incalzati da tenebre. Perseguitati.
Verso dove? Grigio d'angelo.
Nell'Aldilà dietro il pianto delle iene,
Con un giunco d’oro tra le mani scarnificate
Dio scuote e apre per sempre
L’eternità delle nostre bare.
Come ti amo!
Come un tumulto di mosche febbrili
Incendiano il mio delirio!
Ma, oh belle schiave della notte,
Perché avete adornato la mia fronte lacera
Con ghirlande di serpente?
Perché, maledette?
Su di essa la notte s’è posata verde
E mi morde il suo colore sconfinato,
Mi fa impazzire il suo colore caduto,
Il suo verde divorato dalla morte.
Mentre, lontana, tutto cambia, tutto muore,
Il tuo diadema di crotali,
I tuoi cristalli infangati e il tuo pianto.
Tutto è morto, Spogliata, tutto è verde
E nel suono è caduto per sempre.

Traduzione di Emilio Capaccio



Sulla poesia...Gisella Blanco

In un momento storico così complesso, in cui non ci sono punti di riferimento fermi, né culturali né spirituali e, per avventura, tale lacuna non fa nemmeno più tanta paura (anzi, forse, potrebbe perfino avere i suoi aspetti positivi, soprattutto dopo il Novecento e il suo portato storico), ho sempre creduto che la poesia possa essere un lume.

Non insegna concetti, non è educativa, non salverà il mondo, come ha detto Patrizia Cavalli ma ha, a mio avviso, un potenziale enorme e, cioè, quello di far esercitare le persone a un libero allargamento dei confini emotivi e intellettuali.
Se ciò può apparire ascrivibile a tutta l’arte e, quindi, a tutta la letteratura (e provando a demolire le false credenze del nostro paese che vedono la poesia come qualcosa di troppo astratto o addirittura di diverso e speciale rispetto agli altri generi letterari, sulla base dell’ormai superato insegnamento di Croce), mi pare che la scrittura poetica si possa impossessare di più e meglio dell’obiettivo di spingere la mente ad andare al di là dei propri confini. Oggi, questa riflessione mi sembra più che mai veritiera, per svariate ragioni: la poesia non necessita di contenere trame e, quindi, indirizzi tematici precisi; l’estetica è centrale nell’atto creativo ma non esiste più una rosa di forme predefinite e coralmente accettate a cui doversi attenere; riesce ad attingere da tutti gli altri generi, dalla prosa al teatro e, allargando alle altre arti, anche dal cinema, dalla pittura, dalla scultura, dalla musica e tanto altro (si pensi all’introduzione di linguaggi non letterari come quello medico, come le storpiature dell’italiano degli stranieri, come quello giornalistico o pubblicitario, quello legale, quello industriale, etc). Fermo restando, però, che ciò non vuol dire che la poesia sia casuale e peschi in modo rabdomantico qualsiasi materiale in spregio alla sorveglianza e alla dovuta padronanza di forma, misure e progetti letterario-intellettuali.
Insomma la poesia ha moltissimo da offrire in termini di suggestioni (e ben poco, per fortuna, di dogmi, pre-concetti e valori assoluti), non solo a chi ha già maturato una coscienza culturale ma anche a chi la sta elaborando, come i nostri ragazzi.
I programmi scolastici, dotati di un esiguo excursus della storia della poesia e, spesso, poco concentrati sul contemporaneo, probabilmente ancora non agevolano una fruizione intuitiva della stessa da parte dei ragazzi. Come sosteneva Umberto Eco, essere colti non significa conoscere molte cose a prescindere ma sapere dove andarle a trovare: questo credo che sia il compito principale di critici, divulgatori, insegnanti e, oggi, anche di festival e rassegne, tramiti importanti tra autori e pubblico. Aiutare i ragazzi in particolare, e le persone in generale, a saper cercare ciò di cui sentono il bisogno, o di cui hanno curiosità, non significa insegnare a saper usare Google o a saper accedere a una conoscenza generale bensì affinare la sensibilità di rintracciare, nel mare magnum di dati che ci sovrastano, le parole giuste, quelle che ci servono.
Intanto credo che sia di centrale importanza far capire che la poesia non è più eremitica (almeno, non lo è in modo esclusivo) e solo elegiaca, non è soltanto quella forma inarrivabile di linguaggio che possono scrivere solo i sapienti e che leggono in pochissimi. La poesia, oggi, è adatta a raggiungere ogni esigenza, sia culturale che di gusto, basta saper cercare l’autore giusto, il libro giusto, quella sollecitazione che si aggancia con i nostri movimenti interiori. Parlo di un rapporto con i testi che va oltre la letterarietà e ha a che vedere con il corpo e con la mente.
La poesia, luogo prioritario della metafora che per Ortega Y Gasset era la più forte manifestazione della disumanizzazione dell’arte, proprio partendo da questa possibilità di staccarsi dalla realtà pur essendo in essa radicatissima, educa ad aprire la mente, a immaginare possibilità diverse, a vedere le cose da punti di vista sempre variabili. Abitua all’arte di spostarsi.
Mi sembra che la poesia aiuti a creare ipotesi (sempre ipotesi, mai certezze) di cosmogonie personali e collettive, eserciti a moltiplicare visuali e visioni, metta in crisi i dogmi ed esorti all’immaginazione e all’espressività (facoltà a certe latitudini ostacolata dall’abuso di strumenti tecnologici).
Parlare ai ragazzi di cosa significhi, oggi, leggere e scrivere poesia, coinvolgerli nel processo artistico liberandoli dai preconcetti sulla limitazione di temi, sui presunti linguaggi poetici, sulla ridondanza di rime e metrica, significa permettere loro di oltrepassare la soglia dello scetticismo che ammanta questo genere e di tuffarsi in quel “divinante trionfo sull’oblio” (definizione presa in prestito da Harold Bloom) che, per assurdo, consente di calarsi appieno nella realtà di tutti i giorni, nella memoria, nei sentimenti, nelle emozioni e nelle pulsioni concrete, fisiche, viscerali.
I ragazzi cercano – mi pare – qualcosa che sia in grado di intercettare il loro smarrimento (uno smarrimento condiviso con gli adulti, sia chiaro, ciascuno con i propri strumenti, infatti la poesia va bene per ogni età): poiché la scrittura poetica, almeno in alcuni casi, è puro smarrimento ma adopera, tuttavia, la chiave escatologica della parola quale tramite per l’accesso a una più spontanea comprensione della materia emotiva e antropologica, per altro collettivizzante, si dimostra essere uno strumento a mio avviso assolutamente utile per accedere al dialogo con il mondo, un mondo fatto dagli altri, dalle cose e dall’io che perde, così, la sua insidiosa autoreferenzialità.
Imparare ad avere massima cura del linguaggio, l’attenzione al suono e al complesso dei suoni, l’importanza della ricerca estenuante della parola giusta nello spazio giusto e la grandissima variabilità dei significati in base alle minime mutazioni dei significanti nonché all’utilizzo dei silenzi, è un ottimo esercizio alla vita, alle relazione, forse perfino a quella che ultimamente viene definita educazione sentimentale.
Se si legge la teoria della letteratura di Gérard Genette, tra ipotesti, ipertesti, paratesti, architesti e transtestualità, provando ad allargare prospettive e argomenti, sembra di accedere a un sorprendente discorso sull’umanità, sulle relazioni sociali dell’individuo e sulla identità attraverso la storia, il presente, la lettura del passato e le aspettative sul futuro. Studiando la letteratura, si trovano indizi e risorse che riguardano l’esistenza. Con la poesia, ciò avviene a un livello emotivo ancora più recondito, istintuale, originario. Non sto parlando di magia o pratiche ascetiche che, pur storicamente legate alla nascita della poesia stessa, oggi, al di là di certe mode passeggere quanto brandizzabili, appartengono a filoni circoscritti di scrittura che non rappresentano di certo né l’essenziale né la totalità.
La mente ragiona per figure retoriche e, quindi, poeticamente. Accedere alla comprensione di questo funzionamento poetico significa rendere più fluido il dialogo con il sé e, di conseguenza, con gli altri.
Parallelamente alla musica e alla canzone, la poesia può veicolare l’emotività e, ancora di più delle prime, può trasmettere strumenti di comprensione e condivisione di cui la società attuale ha molto bisogno.
La poesia, poi, per la maggior parte dei casi è breve, occupa poco spazio e poco tempo in linea con il modo in cui siamo abituati a fruire dei contenuti sui social, si può leggere in qualsiasi momento, quasi sempre non è necessario seguire l’ordine cronologico dei testi: sono tutte caratteristiche che rispettano le nuove esigenze delle persone, basta saperle cogliere e sfruttare, rispettando naturalmente anche la poesia stessa. E, come sempre, è dai ragazzi che si deve ripartire.

Gisella Blanco
(per RITRATTI DI POESIA)

mercoledì 20 agosto 2025

Una poesia di Virginia Farina


A cosa serve amore mio questa parola

che resta e non ci salva e neppure
risparmia gli occhi dalla vertigine
del precipizio, anzi proprio lì
ci accompagna e ci veglia
perché lo possiamo vedere
questo umano nudo esposto
nella furia di una vendetta
nella morte oscena di cui è capace
nella fragilissima dolcezza
dell'abbraccio che ancora si apre
nella rovina, che non può
consolare, e che pure è il fiore
che resta delle nostre macerie

Bologna, 18 giugno 2025

lunedì 4 agosto 2025

Una poesia di Ester Guglielmino: "Regalami dei fiori"


di Radka Ondrová



Regalami dei fiori,
corolle di pensieri
che resistano
allo scorrere del tempo.
Regalami dei sogni,
barlumi di miracoli
che splendano
di notte, controvento.


Ester Guglielmino

Da "Comprensione", di Roberto Assagioli

Rinunciamo definitivamente al miraggio di soluzioni comode, spicciative e infallibili degli angosciosi problemi che travagliano l’umanità. Torniamo alla lenta e aspra ma sicura via del perfezionamento interiore e, pur continuando a vivere e agire nel mondo in conformità ai nostri doveri, alle nostre abitudini e alle nostre inclinazioni, ricordiamo che l’opera nostra più nobile e più preziosa, quella che può dare il più alto senso alla nostra vita è l’opera compiuta nel sacro silenzio del tempio dell’anima. E le rinunce ai comodi paraocchi e alle piacevoli illusioni che ci chiederà l’austera disciplina interiore saranno ampiamente compensate da una sempre crescente comprensione del mondo e degli uomini e dalla serena, gioiosa contemplazione delle molteplici e ineffabili armonie dell’Universo.


Roberto Assagioli

"Comprensione"

mercoledì 30 luglio 2025

Salvador Novo tradotto da Emilio Capaccio


Salvador Novo (1904-1974)

AL POEMA CONFIO LA PENA DE PERDERTE

Al poema confío la pena de perderte.

He de lavar mis ojos de los azules tuyos,

faros que prolongaron mi naufragio.

He de coger mi vida desecha entre tus manos,

leve jirón de niebla

que el viento entre sus alas efímeras dispersa.

Vuelva la noche a mí, muda y eterna,

del diálogo privada de soñarte,

indiferente a un día

que ha de hallarnos ajenos y distantes.



ALLA POESIA AFFIDO IL DOLORE DI PERDERTI

Alla poesia affido il dolore di perderti.

Devo lavarmi gli occhi dagli azzurri tuoi,

fari che prolungarono il mio naufragio.

Devo raccogliere la mia vita sfatta nelle tue mani,

lieve brandello di nebbia

che il vento in ali effimere disperde.

Torni a me la notte, muta ed eterna,

privata del dialogo di sognarti,

indifferente a un giorno

che deve trovarci estranei e distanti.


Emilio Capaccio

lunedì 28 luglio 2025

Poesie di Daniele Ricci


Al di là degli uomini
ai margini del sentiero
c’è la misura di ogni passo…
È sempre la stessa nostalgia,
cambia forma
ma non si disperde
lo stormo di melodie in cielo.
Ho voci nella testa
cerco il silenzio.
Cammino nella foresta sacra
con rare aperture panoramiche
filamenti di sole
tra rare vedute del monastero.
Un pensiero ad altezza di betulla
fino ad arrivare al rifugio antico.
E dopo la strada asfaltata
il passo attraversa la faggeta.
Da qui si procede su un crinale,
poi dietro una parete
di roccia calcarea
illuminata e tagliente
finalmente
vedo il mare.
Non si trattiene più
mi passa dentro
la solitudine del vento.




Amare con coraggio
sospeso nel vuoto
sui rami della luce
dove s’abbatte il vento.
Questa intenzione
coltivo con rabbia
con singole parole
a colloquio con l’azzurro.
Come certi fallimenti
seguo la corrente,
invoco il giusto viaggio
la lucidità dell’acqua.
Nel freddo della steppa
suggerisco l’istante
e scendo nell’ombra
del vostro infuocato tacere.



 
Mi accade il mondo,
mi avvolge nel sudario.
Scavato fino al pianto
il fiato trema
non canta, attraversa il mare.
Sigilla la mia ombra
e consuma le labbra.
Le onde scagliano la notte
sulla spiaggia,
la sabbia è furibonda.
La pioggia cade dritta,
stride la nuda voce.
Ti accompagna
la scrittura dell’alba
nel viaggio libero da segnalibri
quando dileguano i cieli.
Tuffarti nell’occhio
dove nuotano i morti.
Il tempo non ti ha ingoiato.


D. Ricci

(Dal blog Plenilunio di Emanuela Sica)

domenica 27 luglio 2025

Una poesia di Elena Milani: "Se dovessi dirti cosa mi è mancato"

 

Se dovessi dirti cosa mi è mancato,

quale ventosa mi tendesse il cuore

come a strapparlo

e mi tirasse insieme la schiena all'indietro 

sino a incollarmi al muro 

come una mosca alla sua carta di colla

se dovessi nominare l'angoscia, 

lo spavento d'aprire gli occhi la mattina, 

il precipizio sotto le pantofole, 

se dovessi prendere la misura

al muro del tunnel, 

la manica radente fino a rompersi 

e la pelle fino all'osso 

e laggiù sapere del lume,

era solo la fede dell'immaginazione, 

la mia voce adulta forse

che mi diceva, aspetta,

           non aver fretta di morire.

sabato 26 luglio 2025

Una poesia di Noemy Carcea: "Qui"

 Qui

dove frana la terra

si arresta il passo

le certezze diventano

precipizi

voragini

qui

dove i giorni

sono semi che non germogliano

dove le rondini non tornano

perché cresce soltanto l’inverno

dove si perde il senso

ci abbandonano le forze

e la notte si piange in silenzio

qui

dove manchi tu

ardono i ricordi

come lucciole nel buio.

domenica 13 luglio 2025

3 poesie di Margherita Guidacci



Ama l’albero in sé raccolto, ama la chiusa fatica
Del frutto che il tempo nutre e che nel tempo ricade.
Ma più ama l’albero nel vento, quando assomiglia alla fiamma futura.


****


Le mie mani non sono ancora vuote

ch’io possa alzarle a Te.
Io che fallii nella stretta, fallisco
ora nella rinunzia. È così poco
quel che trattengo, scherno alla mia fame,
e tuttavia è un ingombro smisurato
che mi sbarra il cammino verso Te.
Poiché per queste briciole furiosamente amate
non son pronta al tuo dono
di nudità, di bellezza severa,
al silenzio più trasparente delle lacrime.


***


se il muro fosse di pietra e non d’aria,
se attraverso il muro non si toccassero gli alberi,
se le alte sbarre d’ombra che ti rigano l’anima
fossero l’ombra di vere sbarre a cui potersi aggrappare,
se ricordassi lo scatto d’una porta che si chiude
alle tue spalle e il tintinnìo delle chiavi
alla cintura del carceriere che si allontana:
quale sollievo ne avresti nell’orrore!
perché ciò che si chiude può tornare ad aprirsi,
la rocca più imponente può essere distrutta.
ma dove sei non è porta, e nessuna porta s’aprirà.
e non è muro: nessun muro sarà abbattuto.
le sbarre d’ombra sono le vere sbarre,
non saranno divelte. tu confini con l’aria,
tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera,
e sei tu stessa la tua prigione che cammina.


Margherita Guidacci