lunedì 29 settembre 2025
"Ho spiato l'amore", di Gianluca Emiliani
lunedì 8 settembre 2025
Riccardo Muti, sulla cultura...
Se togliamo ai nostri figli la possibilità di avvicinarsi all’arte, alla poesia, alla bellezza, in una sola parola alla cultura, siamo destinati a un futuro di gente superficiale e pericolosa.
domenica 7 settembre 2025
"Ostrica perlifera", di Margherita Guidacci
Ph Miriam Bruni
Dio mi ha chiamata ad arricchire il mondo
Testamento, di M.L. Spaziani
Testamento
sabato 6 settembre 2025
Cecília Meireles tradotta da Emilio Capaccio
ÊXTASE
venerdì 5 settembre 2025
Anaide Beiriz tradotta da Emilio Capaccio
Anaíde Beiriz (1905-1930)
NȂO! EU NȂO HEI DE CHORAR
lunedì 1 settembre 2025
Un brano di Umberto Galimberti sull'intelligenza
"...La mimetizzazione dell’intelligenza è quindi una grande virtù: la virtù degli insegnanti che non sfoggiano tutto il loro sapere, ma solo quello che può essere recepito e nelle forme in cui può essere recepito; la virtù degli psicoanalisti che, pur individuando dopo due sedute di che cosa soffre il paziente, attendono molte sedute affinché il paziente pervenga da sé alla sua verità; la virtù dei genitori che, pur avendo presenti le capacità che i figli potrebbero tradurre in professioni, attendono che i figli le riconoscano da soli, sorreggendo i loro percorsi con piccoli accenni quando i figli sono nella condizione di recepirli; la virtù dei politici che hanno il polso del paese reale e non solo degli obiettivi che vogliono perseguire, indipendentemente dal consenso o dal dissenso opportunamente valutato; ma direi anche la virtù delle veline, alcune delle quali hanno senz’altro significative capacità intellettuali, che però, dato il contesto, non è il caso di esibire in un concorso di bellezza, dove l’attenzione è tutta concentrata sulle misure e le forme del corpo. La mimetizzazione dell’intelligenza è la virtù delle persone veramente intelligenti, che sanno coniugare la verità con la comprensione della verità, per la quale sono disposti a rinunciare all’esibizione di sé per la cura dell’altro e la comprensione delle modalità con cui l’altro può capire quanto si va dicendo. All’intelligenza che sa mimetizzarsi compete quella virtù che possiamo chiamare altruismo, qui inteso non come “buonismo”, ma come percezione di ciò che è altro da me, perché consapevole che gli altri, con le loro obiezioni anche grossolane, possono costituire uno stimolo a un ulteriore ricercare e intendere e trovare. Dimensioni, queste, tutte impedite alle intelligenze narcisistiche che, non percependo nulla dell’altro, del suo livello di comprensione e del valore delle sue obiezioni (che i narcisisti scambiano per attacchi), irrigidiscono la loro intelligenza, facendola diventare sempre più dogmatica, e alla fine arida e fossilizzata, perché non dialogica e non recettiva di quanto gli altri e il mondo hanno ancora da insegnare..."
Sono radicata dove devo morire, una poesia di Margherita Guidacci
Il mio cuore appartiene
A coloro che lo divoreranno,
E so che stanno venendo.
Ho sobbalzato
Anche per una piuma fluttuante nell'aria,
Non sapendo quale sarà il loro segno.
Credo di udire i loro passi:
La notte e il vento sono pieni di passi.
O forse avranno ali
E piomberanno su me come un falco,
O arderanno dal suolo come fiamma,
O balzeranno dal mio stesso cuore.
Così sto in ascolto.
Non so dove volgermi.
Sono radicata dove devo morire.
Sono un albero marcato di rosso
Perché l'ascia lo riconosca;
Un albero marcato nel bosco
Che sarà traversato da una strada,
E odo l'ascia che canta
Una canzone di morte intorno a me,
Si avvicina pesante come il passo di un ubriaco,
Il battito di un folle cuore o di un folle tamburo.
Trovo che queste parole nate dall'estro di Margherita Guidacci per esprimere l'angoscia del ricco Epulone della parabola evangelica, possano oggi interpretare invece i sentimenti e i singhiozzi, il costante allarme e l'angoscia di morte che sta soffocando i poveri palestinesi.................
Poesia Guidacci - Foto Bruni
ph Miriam Bruni
All'eterno
Come onde la tua riva tocchiamo;
Ogni istante è confine tra l'incontro e l'addio.
Dal nostro mare in te fuggire, nel nostro mare fuggirti:
Non altro è di noi labili il destino.
Né tregua mai ci è data, anche se amore
Od altra arcana ansia più lontano ci spinse
Sulle tue sabbie, in vista delle torri
Della superba tua città. Ché ancora
Indietro ci trascina il nostro peso
Nel mutevole abisso -
Siamo di nuovo desiderio e lamento.
(da Paglia e polvere)
Il dolore...secondo Isabella Bignozzi
ll dolore è sempre degno, materia candida. Castità ultima di tutti i corpi: proni alla pena, alla piaga, alla sete. Ma le zone d’ombra di ciò che si è patito, dove si ferma il cuore – che weilianamente duole, perché attendeva il bene – vanno taciute. Il male si estingue nell’inazione che potenzia l’interiorità, aggrappati ai propri frammenti d’innocenza.
Fare del cuore un sepolcro del mancato, dove il dolore è lasciato libero di scavare, finché non sia terminato il tripudio del crollo in ogni sua gloria: quello è il punto geometrico, puramente spirituale, che dell’umana bassezza fa dimora inerte, in contemplazione immobile. Senza volere, senza sapere, l’anima arresa, contrita di sé, che non biasima, ma si lascia divaricare dalla sofferenza avuta in sorte, non nutrendo rabbia, non desiderando reciprocità di abuso, in minima parte redime e svincola chiunque altro.
E non rinnega il suo sgomento Gesù, nell’abbandono (Mt 27, 46; Mar 15, 34): dichiara il bisogno. Sitio, ho sete. Continuare a chiedere il bene, senza timore di essere inesauditi, derisi, umiliati. Di fronte al male del mondo: presenza ridanciana, acefala, che strattona i viventi gli uni contro gli altri nel moto meccanico, nella cosa grezza. Chiunque dia la propria materia nobile in pasto alla pochezza, o pratichi la prevaricazione, l’umiliazione: chiunque in tal modo degradi sé stesso degrada ogni suo simile, inchiodando Cristo sulla croce, incessantemente.
Isabella Bignozzi