giovedì 20 febbraio 2025

Poesie di Lorenzo Pataro



La testa sul cuscino, un sasso nello stagno a sprofondare, nella stanza si propagano i pensieri come cerchi e tu non senti dal tuo regno bianco ovatta la ferita che mi buca la corteccia.



Penso ai morti del paese
a cui non pensa più nessuno.
Gli ingrigiti fiori finti, i fiori secchi,
il gelo che fa tana nelle tombe scoperchiate.
Quanto resta. Cosa resta in una foto
di tutto il mappamondo di un umano.
Una scritta, una data, qualche oggetto.
Cosa resta. Penso a tutti i trapassati
che non lasciano una scia.
Benedico i loro nomi,
percepisco il loro sonno
come un ago, la mia notte
nella cruna della loro.




Allora tu ascolta la preghiera delle foglie ferite dall’inverno, insegnami a chiamare per nome tutti i falchi come fosse un rito antico per il bene, spalanca la tua voce nello spazio tra le fronde, aspetta la stagione che riporta tutti i voli alla quercia originale, insegnami a capire questo trillo che fa eco alla parola e poi la scava qui sul petto. Allora io ritrovo le briciole perdute fra le orme, la casa nascosta dal canneto che raduna gli amori delle allodole, le pietre sul capanno diroccato e la grazia dei germogli in mezzo ai rovi.
I rovi tra la neve troveranno un’altra luce un bastone di pastore a scavare gli anemoni e le bacche marce nella terra a furia di urlare il mio nome si scheggia la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio che pende sottile dalla casa diroccata – allora tu dammi un altro luogo in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio chiamami col verso dei falchi o delle volpi donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli che cercano la madre e la sua bocca feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo, ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.



Ancora ritorna lo sparviero il nibbio a piantare l’urlo nella schiena a percorrere il dolore come un dito che tocca la ferita e la ripara la stagione degli amori ritorna e spalanca i richiami dei tordi nella nebbia se getti il germoglio sul cemento lo ruba la gazza e lo conserva nel nido poi scopre il tuo segreto e smette di brillare ogni preghiera ancora ritorna lo sparviero la poiana caduta a capofitto.




La tua bocca mi bacia ed è nido
in cui covo la ferita, mi aggrappo alla tua voce
che è sottile come un ago, mi arrampico
al tuo petto, percorro tutto il bosco in cui
cresce il tuo respiro, il legno che brucia
e mi disseta, mi dà aria che è buona
per il cuore, gli dà forma, lo contengo
sul palmo della mano, gli faccio
la guardia nottetempo, poi mi perdo
nell’oceano degli occhi, profondi misteriosi
e antichi come il fuoco, la tua bocca
mi bacia ed è il nido da cui volo verso il mare.


Lorenzo Pataro

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