Mi tagliano in due il fiume e la luna
e la notte mi cola come sangue dalla bocca.
Un tempo ero una, un tempo ero una!
Non sapevo così selvagge le rocce.
Arrivavo con le orbite piene di fiori,
il vento azzurro indosso.
Cantò la terra feconda: «Tu non muori!».
Suonava la mia carne sulla lira d’ossa.
Mentre cadevo, come in un sogno d’asce, ecco, la luna
e il fiume mi tagliavano in due. Ripeto:
Un tempo ero una, un tempo ero una!
La parte con la testa me la prendo
e la cullo adagio.
Sono qui che aspetto – come ho aspettato un anno dopo l’altro – / che mi neghino / il diritto alla poesia, a un’arancia, / fors’anche alla condizione di essere umano / la mia identità –sempre più incerta […] alla fine / i dinieghi che mi assediano / definiscono la mia stessa persona /proprio come il lanciatore di coltelli / ricava la sagoma perfetta della vittima / dai coltelli lasciati sul fondale […]”.
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