La poesia, a Suo parere, coinvolge in primo luogo la conoscenza o il sentimento?
Credo che la parola poetica possa dire tutto, e che in questo tutto si esprima un’assoluta libertà senza ragione, un’incessante scoperta di sensi altri, di suoni-voci-volti che aggiungono, ad ogni tappa della ricerca, nuove note e nuovi tasselli alla partitura e al mosaico interminabili dell’esistenza umana.
E’ un cammino di ordine sostanzialmente gnoseologico, se si vuole, ma tracciato su una mappa affatto inconsueta, fuori controllo e fuori dall’ordine di rotte predefinite, che ha come estremi skèpsis e hairesis, e nessun’altra finalità che non sia l’ascolto di quanto, insieme a noi, tracima in altre forme, senza certezze in merito a presunte verità assolute, date o da scoprire: un percorso alimentato e sorretto unicamente dall’eco dei passi, dall’eco che si fa fuoco di segni sulla pagina, dal fuoco che è il cuore pulsante di una interrogazione senza inizio e senza fine.
Il sentimento, allora, come qualsiasi altra istanza (emozionale, istintuale, intellettuale, sociale, politica, civile) non può essere estraneo a questo peregrinare, ma non può costituirne l’unica ragion d’essere: nel senso che se una poesia nasce intenzionalmente per commuovere, per dare libero sfogo a un bisogno, per convincere, per sostenere una tesi o quant’altro, essa semplicemente non-è-più in quanto tale: sarà un manufatto, un oggetto, una produzione, un testo apprezzabile per tanti versi e in tanti ambiti, ed anche di egregia sostanza, ideazione e struttura, perché no, ma non più poesia, in quanto l’intenzione, proprio quella espressa e non un’altra, escludendo il molteplice che è la totalità della sua natura plurale, le nega ogni statuto di esistenza.
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