domenica 6 giugno 2021

Quale spettatore riuscirebbe a reggere un simile spettacolo? - Wislawa Szymborska


Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.
E’ significativo che si producano di continuo molti film sulla biografia di grandi scienziati e grandi artisti. Registi di una qualche ambizione intendono rappresentare in modo verosimile il processo creativo che ha condotto a importanti scoperte scientifiche o alla nascita di famosissime opere d’arte.
E’ possibile mostrare con un certo successo il lavoro di taluni scienziati: laboratori, strumentazione varia, meccanismi attivati riescono per un po’ a catturare l’attenzione degli spettatori.
Ci sono inoltre momenti molto drammatici in cui non si sa se l’esperimento ripetuto per la millesima volta, solo con una leggera modifica darà finalmente il risultato atteso.
Possono essere spettacolari i film sui pittori - è possibile ricreare tutte le fasi della nascita di un quadro, dal tratto iniziale fino all’ultimo tocco di pennello. I film sui compositori sono riempiti dalla musica - dalle prime battute che l’artista sente in sé, fino alla partitura completa dell’opera.
Tutto questo è ancora ingenuo e non dice nulla su quello strano stato d’animo popolarmente detto “ispirazione”, ma almeno c’è di che guardare e di che ascoltare.
Le cose vanno assai peggio per i poeti. Il loro lavoro non è per nulla fotogenico.
Una persona seduta al tavolino o sdraiata sul divano fissa con lo sguardo immobile la parete o il soffitto, di tanto in tanto scrive sette versi, dopo un quarto d’ora ne cancella uno, e passa un’altra ora in cui non accade nulla.
Quale spettatore riuscirebbe a reggere un simile spettacolo?
L’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione.
Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia.
Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni.
Il loro lavoro può costituire un’incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove.
Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi.
L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.
A questo punto possono sorgere dei dubbi in chi mi ascolta. Allora anche carnefici, dittatori, fanatici, demagoghi in lotta per il potere con l’aiuto di qualche slogan, purché gridato forte, amano il proprio lavoro e lo svolgono altresì con zelante inventiva. D’accordo, loro “sanno”. Sanno, e ciò che sanno gli basta una volta per tutte. Non provano curiosità per nient’altro, perché ciò potrebbe indebolire la forza dei loro argomenti. E ogni sapere da cui non scaturiscono nuove domande, diventa in breve morto, perde la temperatura che favorisce la vita. Nei casi più estremi, come ben ci insegna la storia antica e contemporanea, può addirittura essere un pericolo mortale per la società.
Per questo apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate.
Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”.
Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d’una risposta provvisoria e del tutto insufficiente.
Perciò prova ancora una volta e un’altra ancora, finché gli storici della letteratura non legheranno insieme prove della sua insoddisfazione di sé, chiamandole “patrimonio artistico”.
Il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza di fronte a esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali (di uomini, animali, e forse piante, perché chi ci dà la certezza che le piante siano esenti dalla sofferenza?), qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti (già morti? ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d’ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo - esso è stupefacente.
Ma nella definizione “stupefacente” si cela una sorta di tranello logico.
Dopotutto ci stupisce ciò che si discosta da una qualche norma nota e generalmente accettata, da una qualche ovvietà a cui siamo abituati.
Ebbene, un simile mondo ovvio non esiste affatto. Il nostro stupore esiste per se stesso e non deriva da nessun paragone con alcunché.
D’accordo, nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: “mondo normale”, vita normale, normale corso delle cose.
Tuttavia nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c’è più nulla di ordinario e normale.
Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo.
A quanto pare i poeti avranno sempre molto da fare.
(Wislawa Szymborska - dal “Discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel” - 7 dicembre 1996)

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