giovedì 26 dicembre 2019

Cvetaeva - frammenti di prosa

12 agosto 1936
Tu non sei innocuo, Boris, tu istighi la vendetta e la gelosia: questo è il destino di chi conosce il segreto della vita. Quando sorridi, tu stritoli, lo so, anche se non ti vedo – e non voglio vederti per non essere stritolata. Come può non avere terrore la donna che abita la tua stanza da letto quando tu possiedi continenti e civiltà nei tuoi occhi? Se fossi tua moglie, di notte ti cucirei le palpebre – oppure le bucherei con un ago, per vedere sorgere, insieme al sangue, giungle e ghepardi, galeoni e sassoni, nevi, carrozze, monasteri, prigioni… Vivo in cattività – incattivita – tu non puoi darmi nulla. Io non ti darò niente. Le parole infine sono la nenia con cui imbamboliamo l’assenza del corpo. Ieri ti ho sognato, Boris: eri Rilke. Io avrei potuto essere qualsiasi cosa, anche un verso delle Elegie, oppure il portiere dell’albergo che lo ha ospitato, a Firenze, oppure la Neva. Eri Rilke, ma poiché eri Pasternak ti avrei potuto avere – saresti stato mio, ceduto. Eppure, eri così innocuo che preferii abbandonarti.
Marina


“Incontrandoti, io incontrerei me – con gli artigli sfoderati contro me stessa… Io non capisco la carne come tale, non le riconosco alcun diritto… Tu sai di cosa io ho voglia – quando voglio. Di oscuramento, rischiaramento, trasfigurazione. Dell’estremo promontorio dell’anima altrui – e della mia. Delle parole che non sentirai, non dirai mai. Dell’inaudito. Del mostruoso. Del prodigio”.

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