giovedì 19 dicembre 2019

Luce Irigaray "Partager le monde"

In questo dono che ciascuno fa all'altro per il solo fatto di riconoscerlo e accoglierlo come altro, siamo insieme due e uno. Ciascuno deve essere sé e ritornare a sé nella sua alterità affinché l'unità esista.
In tale sorta di scambio niente è mai posseduto, comunque non in maniera definitiva, pena l'interruzione della partecipazione bilaterale. Ciò che è provato e ricevuto deve rimanere fluido, al servizio del divenire di ciascuno e della relazione fra i due. E' così anche per il benessere o la felicità. che vanno percepiti come provenienti dai due...
L'apertura all'altro e il ritorno a sé producono incessantemente frontiere mobili - che contornano l'energia e le consentono di svilupparsi secondo un ordine vivente. Non più limiti imposti da un di fuori, ma un essere-in-relazione che esige in ogni istante un'efflorescenza contenuta per ciascuno.
Coltivare l'attrazione implica non lasciarla paralizzare in abitudini, norme, gesti e discorsi già definiti.
Il desiderio va a perdersi se non vi si sta attenti.
Ciò che fa del desiderio occasione di degradazione è la non considerazione del suo carattere originale e singolare, e del contesto intersoggettivo in cui accade.
L'altro arresta il mio slancio verso un avvenire cui solo la morte dava un orizzonte, opponendogli il limite imposto da un'altra trascendenza, la sua.
Non è solo da ciò che ci circonda che dobbiamo essere affetti. Questa affezione deve accompagnarsi a una auto-affezione che la metta in prospettiva, e richiede di misurarsi con ostacoli specifici da parte dell'uomo o della donna.
Lo spazio allestito intorno all'altro non può essere il risultato di una semplice previdenza nei suoi confronti, almeno non di una previdenza concernente qualsiasi cosa si possa immaginare a partire da un mondo proprio.
L'altro come altro sfugge al mio sguardo, alla mia rappresentazione. Una logica che privilegia lo sguardo esclude la coesistenza e la comunicazione con l'altro come altro. E ogni stima di differenza rispetto all'altro diventa allora solo quantitativa, cioè valutata in funzione di una stessa scala di valori. Riteniamo che l'altro valga più o meno di noi, invece di differire da noi e vivere in un mondo dove altri valori hanno corso.


Non è in una dimora immutabile, nella quale abbiamo riservato un posto per qualunque ospite, che dobbiamo accogliere chi ci appella. Il luogo dove potremmo accoglierlo è ancora da scoprire, da aprire, da allestire. Importa provare e ascoltare con tutto il nostro essere dove siamo stati colti dall'appello, e come corrispondervi. Dare un'ospitalità tradizionale è senza dubbio meglio che vietare completamente l'accesso della propria dimora all'altro, ma non significa ancora condividere con lui...


Nel silenzio, l'altro può avanzare verso noi, così come noi possiamo avanzare verso lui. Un silenzio che è anzitutto un'indicazione a proposito della nostra attitudine a rinunciare a un significato organizzato solo dai nostri propri segni. E' l'annuncio di un riserbo, non solo in noi per appropriarci di ciò che accade, ma anche fuori di noi per lasciargli uno spazio-tempo per accadere.
Luce Irigaray

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